Juan Oliver (Alberto Ammann), giovane guardia carceraria in giro di ricognizione nel carcere dove inizierà a lavorare il giorno dopo, per una fatale coincidenza rimane invischiato in una rivolta dei prigionieri, guidata dal carismatico e intelligente Malamadre (Luis Tosar). Il giovane sarà obbligato a fingere di essere un nuovo detenuto.

Film in cui la carne al fuoco è molta, e non sempre gli elementi si amalgamano bene, a partire dai due principali: la cronaca della rivolta (con annessa analisi dei suoi sottotesti sociali e politici) e il racconto della deriva del malcapitato Juan Oliver e del suo rapporto, quasi edipico, con Malamadre. Ciò non toglie, però, che le basi siano ottime e che il film di Daniel Monzón, oltre a risultare un oliato meccanismo di tensione, sia una lucida riflessione sul carcere come comunità speculare alla società esterna, fondato sulle stesse regole – il senso d'appartenenza e quello d'opportunità – e sulle medesime dinamiche. Esemplare è anche l'idea di come il contesto e lo stato d'animo del momento possano cancellare le convinzioni personali e portare a un adeguamento della propria interiorità. Una visione che supera i limiti della pura denuncia sociale (pur, tra le righe, presente) e che trova la sua forza nell'assenza di manicheismo nella rappresentazione dei due schieramenti, così come dei singoli personaggi. Otto Premi Goya, tra cui miglior film, miglior regia e miglior attore protagonista a Luis Tosar.
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