Lucy (Joan Crawford) è stata rinchiusa in un sanatorio per aver ucciso il marito e la sua amante con un’accetta. Vent’anni dopo, è di nuovo libera e viene accolta dalla figlia (Diane Baker) che è cresciuta in campagna con gli zii ed è felicemente fidanzata. Il ritorno alla vita normale non sarà privo di sanguinolente difficoltà…

Sulla scia del successo di film come Psycho, Gli Uccelli e Che fine ha fatto Baby Jane?, che avevano elevato l’horror a genere di grande successo non solo di pubblico ma anche di critica, William Castle mette in scena un film di serie b dalle componenti orrifiche al confine con lo splatter allo scopo di richiamare le masse dei nuovi, giovani spettatori in sala, desiderosi di veder mostrata la violenza in modo esplicito. La pellicola, sceneggiata dallo scrittore Robert Bloch, raggiunge (almeno in parte) l’obiettivo: tra accettate e teste mozzate lo spettacolo sanguinolento è garantito e Joan Crawford, alle prese con una produzione a basso budget, rialza il livello generale con un personaggio tridimensionale che conferisce  un minimo di profondità a un prodotto che dagli scopi esclusivamente ludici. Viste le premesse non ci si poteva aspettare di più da un film che predilige la rappresentazione grafica della violenza (luci e ombre, forti contrasti e decapitazioni) preferendo sacrificare il versante psicanalitico e una suspence più raffinata sull’altare dell’intrattenimento di massa.
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