Cirkus Columbia
Cirkus Columbia
Anno
Generi
Durata
113
Formato
Regista
Nel 1991, il bosniaco Divko (Miki Manojlovic) torna nel suo villaggio natale dopo un esilio ventennale in Germania, con una nuova compagna e col desiderio di rivalsa, personale e politica. La piccola comunità mostra però i primi sintomi dell'imminente conflitto e la tranquillità del ritorno a casa sognata dall'uomo rimane un'illusione.
Danis Tanovic abbandona i campi di battaglia, ma continua a parlare di guerra, affrontando il periodo che precede lo scoppio del conflitto e ragionando sugli effetti della Storia sul privato e sul quotidiano. Il ritratto di una comunità in cui i rapporti vengono irrimediabilmente lesi dal contesto sempre più bollente, e da un passato troppo lungo per essere metabolizzato, è ben tratteggiato nella prima parte, anche grazie alla giusta dose di lieve umorismo e a un bozzettismo funzionale. Efficace il climax con cui viene resa l'influenza del contesto politico, prima ombra quasi sfuggente, poi sempre più evidente. Decisamente più debole è la risoluzione dei legami affettivi e sentimentali, che macchia l'impatto complessivo del film, nonostante il discreto lieto fine, amaramente favolistico. Tanovic conferma così di essere un regista, per così dire, più a suo agio nella descrizione che nella narrazione. Conclude quella che può essere considerata una trilogia sulla guerra, raccontando il “prima”, dopo il “durante” di No Man's Land (2001) e i postumi di Triage (2009). Ottima prova di Miki Manojlovic.
Danis Tanovic abbandona i campi di battaglia, ma continua a parlare di guerra, affrontando il periodo che precede lo scoppio del conflitto e ragionando sugli effetti della Storia sul privato e sul quotidiano. Il ritratto di una comunità in cui i rapporti vengono irrimediabilmente lesi dal contesto sempre più bollente, e da un passato troppo lungo per essere metabolizzato, è ben tratteggiato nella prima parte, anche grazie alla giusta dose di lieve umorismo e a un bozzettismo funzionale. Efficace il climax con cui viene resa l'influenza del contesto politico, prima ombra quasi sfuggente, poi sempre più evidente. Decisamente più debole è la risoluzione dei legami affettivi e sentimentali, che macchia l'impatto complessivo del film, nonostante il discreto lieto fine, amaramente favolistico. Tanovic conferma così di essere un regista, per così dire, più a suo agio nella descrizione che nella narrazione. Conclude quella che può essere considerata una trilogia sulla guerra, raccontando il “prima”, dopo il “durante” di No Man's Land (2001) e i postumi di Triage (2009). Ottima prova di Miki Manojlovic.