In Irlanda, in uno sperduto villaggio di pescatori, una madre (Emily Watson) è combattuta tra l’istinto di proteggere il figlio (Paul Mescal) e il proprio senso d’integrità. Una bugia raccontata per coprire il figlio da un’accusa infamante rischierà di mandare in frantumi la famiglia e il futuro della piccola comunità di cui fa parte.

Secondo lungometraggio di finzione per Anna Rose Holmer, qui in coppia con l’esordiente Saela Davis. Il film tratta tematiche delicate e potenti, ambientando la storia in un’Irlanda ben lontana dalla sua immagine da cartolina: in un impoverito villaggio di pescatori, Aileen (interpretata dolentemente da una Emily Watson che regala un’ennesima ottima prova) decide di mentire per coprire il figlio, appena tornato a casa dopo lungo tempo, da un’accusa di violenza sessuale. La menzogna crea tensione e scontri sia fuori che dentro la famiglia. Se il tema non è particolarmente originale e la scrittura, altrove puntuale, porta a un finale che sembra troppo brusco e radicale rispetto all’evoluzione del personaggio di Aileen, resta comunque una pellicola efficace nello scrutare le ombre più nere di una famiglia che fa di tutto per cercare di restare a galla, ma si vede scontrare contro una realtà che si fa tanto più oscura quanto più si cerca di impedire alla verità di vedere la luce. Buona anche la prova di Paul Mescal e del resto del cast.
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