The House
The House
Durata
97
Formato
Una famiglia indigente di fine Ottocento accetta l’offerta di un mefistofelico benefattore di trasferirsi gratuitamente in una casa, scoprendone, poco a poco, il terribile inganno. Ai giorni d’oggi, un personaggio cerca di vendere la stessa casa, trasformando questa sua intenzione in una terribile ossessione. In un futuro distopico, dove tutto il mondo è sommerso dall’acqua, la proprietaria della casa, non riesce ad accettare il destino di dover lasciare l’abitazione, ormai diventata inabitabile.
Realizzato da Nexus Studios per la regia di Emma de Swaef e Marc James Roels (Capitolo 1), Niki Lindroth von Bahr (Capitolo 2) e Paloma Baeza (Capitolo 3), alcuni fra i più importanti nomi nel campo della stop motion, The House è un prodotto d’animazione, di buona qualità tecnica e narrativa, giunto al grande pubblico grazie alla distribuzione di Netflix. In scena, fatto salvo per il primo capitolo, ci sono animali antropomorfi, topi e gatti, che possono richiamare alla memoria le affabili volpi di Wes Anderson (Fantastic Mr. Fox), ma di cui non condividono le rassicuranti fattezze, né i toni fiabescamente ottimisti. Siamo davanti a una favola antologica dalle tinte gotiche, dall’ambientazione cupa: ci sono macabri insetti che danzano al ritmo del tripudio del grottesco. L’aspetto dei personaggi è volutamente sgradevole, mentre l’atmosfera incantata si tinge subito delle sfumature del nero. Ci sono echi di Kafka, di Poe in questa storia divisa in tre capitoli, ognuno dei quali si fa allegoria di introspezioni e inquietudini umane. Il tema della casa ritorna in tutte le vicende. Qui non è il confortante rifugio che protegge, ma il riflesso delle proiezioni dei personaggi, delle loro paure. I protagonisti si trasformano e mutano la propria essenza in relazione alla casa stessa: è il palcoscenico della loro infernale discesa verso la distruzione, il contenitore delle loro più profonde ossessioni e tormenti. Ma non solo, la casa non si limita a essere il locus in cui avvengono tragedie, ne è la motrice. L’utilizzo dell’animazione a passo uno e la natura grottesca e surreale dei personaggi rendono l’impatto visivo più angosciante, restituendo al pubblico una sensazione perturbante di alienazione e straniamento. Il rapporto che i personaggi costruiscono con la casa, si fa specchio della loro psiche e personalità, di un malessere che si modifica fra le storie raccontate (che attraversano le epoche, dall’Ottocento gotico, a un presente dai toni surreali e kafkiani, fino a un futuro distopico e inospitale), ma che dura nel tempo. Nel primo episodio, E dentro di me, si tessero menzogne, l’unico ad avere protagonisti dalle fattezze umane, la casa si fa trappola mortale per una famiglia indigente che, accecata dal bisogno e dalla speranza di sopravvivere, non si rende conto del potenziale inganno di una promessa, che offre beni materiali, ma spegne affetti e sentimenti. Nel secondo episodio, È smarrita la verità che non si può vincere, la storia di un topo agente immobiliare, è metafora di un’ossessione di cui si rischia di prendere la forma, per quanto vi si provi a sfuggire. Se nei primi due episodi, le inquietudini sopraffanno le umanità che animano i pupazzi, fino a trasformarli in ciò che bramano o temono, nel terzo episodio, Ascolta bene e cerca la luce del sole, il più ottimistico dei tre, nonostante l’ambientazione post apocalittica, la paura di lasciare/si andare e accettare i cambiamenti, può diventare occasione di rinascita, una sopravvivenza verso cui veleggiare, per non rimanere aggrappati a un passato fatale. Ciò che è davvero incisivo in questo film, è la capacità di evocare temi universali (sebbene con diverse declinazioni), che parlano direttamente all’io più profondo dello spettatore, coinvolto nelle stesse umanissime paure, debolezze, fragilità. L’animazione fa il suo gioco, spiazzando, inquietando e conquistando, nonostante alcuni passaggi narrativi sappiano troppo di già visto e non riescano sempre a sorprendente. Resta comunque un’opera riuscita, che riesce a non cadere nella retorica incomprensibile delle complesse metafore che mette in campo, ma lascia aperta la porta della libera interpretazione ed esegesi. Un esercizio di autoriflessione. Degni di nota i doppiatori dei personaggi, fra cui Helena Bonham Carter, Matthew Goode e Mia Goth.
Realizzato da Nexus Studios per la regia di Emma de Swaef e Marc James Roels (Capitolo 1), Niki Lindroth von Bahr (Capitolo 2) e Paloma Baeza (Capitolo 3), alcuni fra i più importanti nomi nel campo della stop motion, The House è un prodotto d’animazione, di buona qualità tecnica e narrativa, giunto al grande pubblico grazie alla distribuzione di Netflix. In scena, fatto salvo per il primo capitolo, ci sono animali antropomorfi, topi e gatti, che possono richiamare alla memoria le affabili volpi di Wes Anderson (Fantastic Mr. Fox), ma di cui non condividono le rassicuranti fattezze, né i toni fiabescamente ottimisti. Siamo davanti a una favola antologica dalle tinte gotiche, dall’ambientazione cupa: ci sono macabri insetti che danzano al ritmo del tripudio del grottesco. L’aspetto dei personaggi è volutamente sgradevole, mentre l’atmosfera incantata si tinge subito delle sfumature del nero. Ci sono echi di Kafka, di Poe in questa storia divisa in tre capitoli, ognuno dei quali si fa allegoria di introspezioni e inquietudini umane. Il tema della casa ritorna in tutte le vicende. Qui non è il confortante rifugio che protegge, ma il riflesso delle proiezioni dei personaggi, delle loro paure. I protagonisti si trasformano e mutano la propria essenza in relazione alla casa stessa: è il palcoscenico della loro infernale discesa verso la distruzione, il contenitore delle loro più profonde ossessioni e tormenti. Ma non solo, la casa non si limita a essere il locus in cui avvengono tragedie, ne è la motrice. L’utilizzo dell’animazione a passo uno e la natura grottesca e surreale dei personaggi rendono l’impatto visivo più angosciante, restituendo al pubblico una sensazione perturbante di alienazione e straniamento. Il rapporto che i personaggi costruiscono con la casa, si fa specchio della loro psiche e personalità, di un malessere che si modifica fra le storie raccontate (che attraversano le epoche, dall’Ottocento gotico, a un presente dai toni surreali e kafkiani, fino a un futuro distopico e inospitale), ma che dura nel tempo. Nel primo episodio, E dentro di me, si tessero menzogne, l’unico ad avere protagonisti dalle fattezze umane, la casa si fa trappola mortale per una famiglia indigente che, accecata dal bisogno e dalla speranza di sopravvivere, non si rende conto del potenziale inganno di una promessa, che offre beni materiali, ma spegne affetti e sentimenti. Nel secondo episodio, È smarrita la verità che non si può vincere, la storia di un topo agente immobiliare, è metafora di un’ossessione di cui si rischia di prendere la forma, per quanto vi si provi a sfuggire. Se nei primi due episodi, le inquietudini sopraffanno le umanità che animano i pupazzi, fino a trasformarli in ciò che bramano o temono, nel terzo episodio, Ascolta bene e cerca la luce del sole, il più ottimistico dei tre, nonostante l’ambientazione post apocalittica, la paura di lasciare/si andare e accettare i cambiamenti, può diventare occasione di rinascita, una sopravvivenza verso cui veleggiare, per non rimanere aggrappati a un passato fatale. Ciò che è davvero incisivo in questo film, è la capacità di evocare temi universali (sebbene con diverse declinazioni), che parlano direttamente all’io più profondo dello spettatore, coinvolto nelle stesse umanissime paure, debolezze, fragilità. L’animazione fa il suo gioco, spiazzando, inquietando e conquistando, nonostante alcuni passaggi narrativi sappiano troppo di già visto e non riescano sempre a sorprendente. Resta comunque un’opera riuscita, che riesce a non cadere nella retorica incomprensibile delle complesse metafore che mette in campo, ma lascia aperta la porta della libera interpretazione ed esegesi. Un esercizio di autoriflessione. Degni di nota i doppiatori dei personaggi, fra cui Helena Bonham Carter, Matthew Goode e Mia Goth.