Il dio chiamato Dorian

Liberamente ispirato al romanzo Il ritratto di Dorian Gray (1891) di Oscar Wilde. Londra, fine anni '60. Il bel Dorian Gray (Helmut Berger), ritratto in un dipinto dall'amico Basil (Richard Todd), vende la sua anima al diavolo pur di conservare l'eterna giovinezza: a rispecchiare il suo disfacimento fisico (e morale) sarà la sua figura rappresentata nel quadro.

«A modern allegory based on the work of Oscar Wilde». Spostando l'azione dall'Inghilterra vittoriana del XIX secolo a quella beat prossima a entrare nei lisergici Seventies, Massimo Dallamano ha ambientato la vicenda nella swinging London che dettava le mode dell'epoca, influenzato dalla libertà espressiva post sessantottina. Mix di thriller all'italiana e trasgressivo pornosoft (con tanto di esplicite allusioni omosessuali), il film segue la progressiva disgregazione morale del protagonista, un efebico Helmut Berger, perfetto nella parte di un tormentato Dorian Gray moderno in abiti pop, meno dandy ma più sensuale e dissoluto dei suoi predecessori. Bella atmosfera psichedelica, nonostante qualche scivolone nel fotoromanzo nell'esaltare il corpo di Berger, lanciato dal successo ottenuto l'anno prima con La caduta degli Dei di Luchino Visconti. Spicca il lascivo Herbert Lom, ma Isa Miranda, in una piccola parte, non è da meno. Scrittura grezza, ma buone soluzioni di regia (la prolessi iniziale, le soggettive, il cupo finale). Introvabile nella sua versione integrale, nei pochissimi passaggi televisivi viene proiettata una copia di 88 minuti. Nel 2008 la Raro Video ha distribuito il dvd, reintegrando alcune scene e portando la durata a 97 minuti. In Italia fu vietato ai minori di 18 anni. Un piccolo cult di serie B.