Il dio nero e il diavolo biondo
Deus e o Diabo na Terra do Sol
Durata
120
Formato
Regista
Manuel (Geraldo Del Rey) è un bracciante che, in un attacco d'ira, uccide il suo padrone; in fuga attraverso le miserie e le contraddizioni del Brasile più profondo, incontrerà una banda guidata da "Diavolo Biondo" (Othon Bastos).
Film fondamentale per la nascita del cosiddetto Cinéma Nôvo (il manifesto uscirà l'anno dopo, stilato dallo stesso Glauber Rocha), fa del consapevole disordine stilistico e formale il suo punto di forza, in modo da rendere più penetrante e potente l'immedesimazione nella miseria e nel caos sociale e politico che si vuole denunciare (ne possono essere esempi il montaggio inaspettatamente isterico e gli improvvisi cambi di ritmo in molte delle sequenze più calde, a partire dall'uccisione del padrone che dà il via al calvario). Opera estremamente libera, tanto nella sua grammatica quanto nelle tematiche e nelle prese di posizione (elementi che del resto – forse è superfluo sottolinearlo – sono interdipendenti), è anche una pellicola attraversata da un continuo misticismo di fondo, che pare avere due funzioni quasi opposte: da un lato, di denuncia delle derive estremiste religiose e della complicità da parte della Chiesa e, dall'altro, di conferire alla vicenda un valore quasi spirituale e metafisico (cosa che, per gli strani legami che spesso il cinema crea, la avvicina in qualche modo a certi film di Pier Paolo Pasolini). Del resto, molte delle morti che si susseguono sono rappresentate come sacrifici religiosi. Nella sua libertà, assomiglia per lunghi tratti (in particolare verso il finale) a un anomalo western. Presentato in concorso al Festival di Cannes.
Film fondamentale per la nascita del cosiddetto Cinéma Nôvo (il manifesto uscirà l'anno dopo, stilato dallo stesso Glauber Rocha), fa del consapevole disordine stilistico e formale il suo punto di forza, in modo da rendere più penetrante e potente l'immedesimazione nella miseria e nel caos sociale e politico che si vuole denunciare (ne possono essere esempi il montaggio inaspettatamente isterico e gli improvvisi cambi di ritmo in molte delle sequenze più calde, a partire dall'uccisione del padrone che dà il via al calvario). Opera estremamente libera, tanto nella sua grammatica quanto nelle tematiche e nelle prese di posizione (elementi che del resto – forse è superfluo sottolinearlo – sono interdipendenti), è anche una pellicola attraversata da un continuo misticismo di fondo, che pare avere due funzioni quasi opposte: da un lato, di denuncia delle derive estremiste religiose e della complicità da parte della Chiesa e, dall'altro, di conferire alla vicenda un valore quasi spirituale e metafisico (cosa che, per gli strani legami che spesso il cinema crea, la avvicina in qualche modo a certi film di Pier Paolo Pasolini). Del resto, molte delle morti che si susseguono sono rappresentate come sacrifici religiosi. Nella sua libertà, assomiglia per lunghi tratti (in particolare verso il finale) a un anomalo western. Presentato in concorso al Festival di Cannes.