El Cristo ciego
El Cristo ciego
Durata
85
Formato
Regista
Michael (Michael Silva) ritiene di aver avuto un’epifania divina nel deserto cileno. Il suo villaggio lo prende per matto, iniziando a chiamarlo "El Cristo". Quando viene a sapere di un incidente avvenuto a un suo amico, Michael si mette tuttavia in viaggio attraverso le lande desolate del suo paese, con la precisa di intenzione di dimostrare la veridicità del suo contatto col divino e di guarire il suo amico con un miracolo.
Il giovane regista cileno Christopher Murray, classe 1985, alla seconda opera di finzione in carriera, dirige una pellicola scarna e ruvida, incentrata su un tema delicato e ingombrante come il rapporto col divino, soffermandosi soprattutto sulla suggestione ancestrale che può derivare da un’infatuazione priva di mediazioni per la componente ultraterrena dell’esistenza. Prodotto anche con la collaborazione del Torino Film Lab, El Cristo ciego è tuttavia un film debole e inconsistente, inchiodato, è proprio il caso di dirlo, al suo approccio rigoroso ma inconcludente a un materiale narrativo di grande potenza, carico di elementi di interesse ma vanificato da una messa in scena tanto austera e priva di fronzoli quanto acerba e fin troppo distaccata. Murray rientra sicuramente a pieno titolo nella nuova ondata di giovane cinema sudamericano dal tocco fortemente autoriale (si pensi alla vittoria di Ti guardo alla Mostra del cinema di Venezia nel 2015), ma El Cristo ciego non supporta a dovere tali ambizioni e non è in grado quasi mai di liberarsi delle proprie fragilità strutturali. Si finisce così ben presto per procedere a sprazzi e a strappi, inanellando stimoli narrativi sparuti ed episodici piuttosto che costruendo un discorso organico e compiuto. Anche la componente antropologica sulla carta molto interessante, relativa alla popolazione che accoglie Michael come un nuovo Cristo nel corso delle sue peregrinazioni nel deserto, è sprecata in maniera approssimativa e poco lucida, facendo del film un road movie vagamente pasoliniano tanto disilluso e misterioso quanto statico e inerte. In concorso a Venezia 73.
Il giovane regista cileno Christopher Murray, classe 1985, alla seconda opera di finzione in carriera, dirige una pellicola scarna e ruvida, incentrata su un tema delicato e ingombrante come il rapporto col divino, soffermandosi soprattutto sulla suggestione ancestrale che può derivare da un’infatuazione priva di mediazioni per la componente ultraterrena dell’esistenza. Prodotto anche con la collaborazione del Torino Film Lab, El Cristo ciego è tuttavia un film debole e inconsistente, inchiodato, è proprio il caso di dirlo, al suo approccio rigoroso ma inconcludente a un materiale narrativo di grande potenza, carico di elementi di interesse ma vanificato da una messa in scena tanto austera e priva di fronzoli quanto acerba e fin troppo distaccata. Murray rientra sicuramente a pieno titolo nella nuova ondata di giovane cinema sudamericano dal tocco fortemente autoriale (si pensi alla vittoria di Ti guardo alla Mostra del cinema di Venezia nel 2015), ma El Cristo ciego non supporta a dovere tali ambizioni e non è in grado quasi mai di liberarsi delle proprie fragilità strutturali. Si finisce così ben presto per procedere a sprazzi e a strappi, inanellando stimoli narrativi sparuti ed episodici piuttosto che costruendo un discorso organico e compiuto. Anche la componente antropologica sulla carta molto interessante, relativa alla popolazione che accoglie Michael come un nuovo Cristo nel corso delle sue peregrinazioni nel deserto, è sprecata in maniera approssimativa e poco lucida, facendo del film un road movie vagamente pasoliniano tanto disilluso e misterioso quanto statico e inerte. In concorso a Venezia 73.