Londra, 2027. Da diciotto anni non nascono più bambini e l'uomo più giovane del mondo è appena morto. Sopravvissuto a un atto terroristico, il burocrate Theo (Clive Owen) viene contattato dalla ex moglie Julian (Julianne Moore) che vive in clandestinità e sta cercando di salvare Kee (Claire-Hope Ashitey), una ragazza rimasta miracolosamente incinta, rappresentando, quindi, l'ultima possibilità di salvezza per l'umanità prossima all'estinzione.

Ispirandosi molto liberamente al romanzo di P. D. James, Cuarón realizza un film di fantascienza distopica in modo personale e anomalo. È principalmente attraverso lo stile che il cineasta messicano riesce a restituire il senso di smarrimento e angoscia che attanaglia i protagonisti, in particolar modo Theo, il cui sguardo, di fatto, coincide con quello della macchina da presa (tanto che nessuna azione avviene senza che il personaggio sia presente in scena o sia spettatore attivo) e del pubblico con cui condivide punti di vista e informazioni ricevute. L'originalità del film non è comunque limitata alla sua straordinaria messa in scena (di cui i vertiginosi piani-sequenza rappresentano l'apice) ma risiede anche nella scelta di rappresentare un futuro assai realistico che altro non è che uno specchio deformante del presente, i cui problemi sociali endemici (numero di nascite in costante diminuzione, assenza di prospettive per il futuro, terrorismo, politiche repressive quando non disumane contro gli immigrati, diffidenza verso il prossimo) sono portati alle estreme conseguenze. Una realtà apocalittica tanto più terrificante poiché plausibile, un mondo senza fiducia e senza identità, ancorato al passato (la colonna sonora anni '60 e '70, le opere d'arte trafugate) e rassegnato all'estinzione. Nemmeno la nascita di un bambino può garantire speranza, come mostra un finale aperto e toccante. Memorabile Michael Caine nei panni del saggio hippie. Grande successo di pubblico e critica, ma alla Mostra di Venezia il film si è dovuto accontentare solo di un premio alla splendida fotografia di Emmanuel Lubezki, mentre agli Oscar ha ricevuto tre nomination di secondo piano (sceneggiatura, montaggio e fotografia).



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