La fine di San Pietroburgo

Konets Sankt-Peterburga

Anno

Paese

Generi

Durata

80

Formato

Un contadino (Aleksandr Chistyakov), che vive in un totale stato di indigenza, cerca disperatamente lavoro e non si esime dal porsi dall'alto lato della barricata rispetto alla rivolta operaia per raggiungere il suo scopo. Sarà più difficile, però, mettere a tacere la propria coscienza.

Secondo episodio della trilogia della presa di coscienza di Pudovkin, realizzato nel decennale della Rivoluzione di Ottobre, è un film possente e celebrativo, meno denso di sfumature rispetto al precedente La madre (1926), ma ugualmente eccellente nel perfetto rispecchiamento tra i propositi politici e le modalità con cui essi sono trasposti in immagini. Le scelte che molti hanno bollato come meccaniche e prevedibili ai fini di un'esaltazione obbligata della Rivoluzione, a cominciare dagli sviluppi della trama, appaiono in realtà ispirate dalla volontà di associare la piccola gente a forze più grandi di loro, ridisegnando così un'estetica di massa di grande respiro epico e in grado di abbracciare la complessità del reale, piuttosto che ridurlo in modo semplicistico a bozzetto. Il film può essere definito, di fatto, come il racconto della genesi di una consapevolezza politica nella San Pietroburgo del 1914, portato avanti attraverso l'esperienza concreta del protagonista, dalla renitenza ai movimenti di massima alla prigionia. Ma è anche, più in filigrana, un film sulle conseguenze dell'avvento della Rivoluzione, su un ideale passaggio di consegne che tiene conto della presenza zarista non stigmatizzandola, ma problematizzandola alla luce degli inevitabili sviluppi della Storia. Memorabile, nonché di grande impatto plastico e audacissimo per l'epoca, il montaggio parallelo che associa le morti dei soldati in guerra all'aumentare delle quotazioni in borsa. Ma il tocco di Pudovkin è da rintracciare anche nella scelta e nella direzione degli attori, volti ordinari in grado di rispecchiare le persone reali della Russia del tempo e adoperati dal regista come se fossero semplici veicoli, ciascuno dei quali dotato di una precisa funzione e destinazione d'uso, ma non per questo ridotto a soprammobile rigido e passivo.
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