Tempeste sull'Asia

Potomok Chingis-Khana

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113

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Un cacciatore mongolo (Valéry Inkijinoff) è manipolato dal dominio inglese che spadroneggia sul suo paese e che lo utilizza come sovrano di facciata, subalterno al potere coloniale della corona britannica. Ma quando l'uomo finalmente rinsavisce e fa valere la sua volontà, provvede a capeggiare la rivoluzione per sovvertire l'ordine costituito.

Ancora una presa di coscienza, per Pudovkin, che chiude la trilogia su tale tematica con un'opera che esce fuori dai confini del territorio russo per avventurarsi in contesti più esotici. Cambia l'ambientazione, ma la sostanza rimane la stessa: a partire da un racconto di Novokšonov, il film del regista di La madre (1926) ricorre ancora una volta a strutture e stratagemmi narrativi solidi e progrediti per l'epoca, facendo evolvere di pari passo la forza delle immagini e l'impatto del loro contenuto etico-politico, senza mai perdere di vista né l'uno né l'altro aspetto, con una coesione e una lucidità ammirevoli. Pudovkin pare a suo agio anche al di fuori dell'Unione Sovietica e il film può contare su tante accensioni improvvise che non ne compromettono l'unità e il disegno complessivo, tanto robusto quanto lodevole. I momenti migliori sono quelli in cui il regista non teme di scendere sul terreno del sentimento puro e semplice e fa traboccare le sue immagini di pathos, elevandole a potenza senza troppi mezzi termini.
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