La fuga
Dark Passage
Durata
106
Formato
Regista
Vincent Parry (Humphrey Bogart), condannato per l'omicidio della moglie malgrado la sua innocenza, evade da San Quintino e trova l'insperato aiuto di Irene (Lauren Bacall). Parry si sottopone a un intervento di chirurgia plastica per non essere riconosciuto dalla polizia e va in cerca del vero assassino.
Delmer Daves, eclettico artigiano del cinema che più avanti transiterà con nonchalance dai territori del western a quelli del mélo, si cimenta qui con un noir che, pur non toccando le vette dei massimi capolavori dell'epoca, è ancora oggi un piccolo cult. Si tratta del terzo film interpretato dalla coppia Bogart/Bacall – dopo Acque del sud (1944) e Il grande sonno (1946), entrambi di Howard Hawks, e prima di L'isola di corallo di John Huston (1948) – anche se, in barba alle regole del divismo, il volto dell'attore è visibile per la prima volta solo a metà film. La prima parte (non a caso, la migliore) è infatti tutta girata in soggettiva dal punto di vista del protagonista, in un geniale escamotage tecnico che sarà ripreso ancora più radicalmente in Una donna nel lago di Robert Montgomery, uscito lo stesso anno. Gli interpreti sono affascinanti, la suspense efficace e la morale, in fondo, amaramente pessimista. Peccato che verso la conclusione si perda la verve, tanto narrativa quanto stilistica, iniziale. In due piccoli camei, appaiono i figli del regista, allora bambini, Deborah e Michael.
Delmer Daves, eclettico artigiano del cinema che più avanti transiterà con nonchalance dai territori del western a quelli del mélo, si cimenta qui con un noir che, pur non toccando le vette dei massimi capolavori dell'epoca, è ancora oggi un piccolo cult. Si tratta del terzo film interpretato dalla coppia Bogart/Bacall – dopo Acque del sud (1944) e Il grande sonno (1946), entrambi di Howard Hawks, e prima di L'isola di corallo di John Huston (1948) – anche se, in barba alle regole del divismo, il volto dell'attore è visibile per la prima volta solo a metà film. La prima parte (non a caso, la migliore) è infatti tutta girata in soggettiva dal punto di vista del protagonista, in un geniale escamotage tecnico che sarà ripreso ancora più radicalmente in Una donna nel lago di Robert Montgomery, uscito lo stesso anno. Gli interpreti sono affascinanti, la suspense efficace e la morale, in fondo, amaramente pessimista. Peccato che verso la conclusione si perda la verve, tanto narrativa quanto stilistica, iniziale. In due piccoli camei, appaiono i figli del regista, allora bambini, Deborah e Michael.