Genèse
Genèse
Durata
130
Formato
Regista
In una scuola media maschile privata, Guillaume (Théodore Pellerin) è segretamente innamorato del suo migliore amico, mentre il fidanzato di sua sorella Charlotte (Noée Abita) propone a quest’ultima una relazione più libera e tutto vacilla.
Dopo I demoni (2015), Genèse è il secondo film autobiografico di Philippe Lesage sui primi amori. Il regista canadese costruisce una pellicola forzatamente intellettualoide, in cui l’ultima parte è dedicata a due ragazzini che si incontrano in un campus estivo e che prima non erano mai entrati nella vicenda. Una cartolina generale sulla “genesi” dei sentimenti che, al di là di una certa raffinatezza formale, non va da nessuna parte, fino a concludersi in un irritante finale con sguardo rivolto allo spettatore compreso. I riferimenti (soprattutto letterari, esplicitamente citati nel corso della pellicola) sono alti, ma Lesage firma quello che è un semplice esercizio di stile, un compitino arrogante e supponente, pieno di sequenze forzate e poco credibili (spesso con protagonista la povera Charlotte: dal momento in cui il suo nuovo ragazzo va a casa dell’ex fidanzata allo stupro subito durante una festa) che non possono essere ripagate da altre sequenze più eleganti, formalmente parlando. Il tutto sembra costruito a tavolino e quando manca l’ispirazione, i vuoti narrativi vengono coperti da musica e canzoni orecchiabili, così da cercare di aggraziarsi almeno una fetta di pubblico. Furbissimo e sostanzialmente incapace di lasciare alcuno spunto allo spettatore al termine della visione. Presentato in concorso al Festival di Locarno 2018.
Dopo I demoni (2015), Genèse è il secondo film autobiografico di Philippe Lesage sui primi amori. Il regista canadese costruisce una pellicola forzatamente intellettualoide, in cui l’ultima parte è dedicata a due ragazzini che si incontrano in un campus estivo e che prima non erano mai entrati nella vicenda. Una cartolina generale sulla “genesi” dei sentimenti che, al di là di una certa raffinatezza formale, non va da nessuna parte, fino a concludersi in un irritante finale con sguardo rivolto allo spettatore compreso. I riferimenti (soprattutto letterari, esplicitamente citati nel corso della pellicola) sono alti, ma Lesage firma quello che è un semplice esercizio di stile, un compitino arrogante e supponente, pieno di sequenze forzate e poco credibili (spesso con protagonista la povera Charlotte: dal momento in cui il suo nuovo ragazzo va a casa dell’ex fidanzata allo stupro subito durante una festa) che non possono essere ripagate da altre sequenze più eleganti, formalmente parlando. Il tutto sembra costruito a tavolino e quando manca l’ispirazione, i vuoti narrativi vengono coperti da musica e canzoni orecchiabili, così da cercare di aggraziarsi almeno una fetta di pubblico. Furbissimo e sostanzialmente incapace di lasciare alcuno spunto allo spettatore al termine della visione. Presentato in concorso al Festival di Locarno 2018.