Il lamento sul sentiero
Pather Panchali
Durata
119
Formato
Regista
Nato in un remoto villaggio rurale del Bengala, il piccolo Apu (Subir Banerjee) cresce nella miseria ma circondato dall'amore dei suoi familiari: il padre Harihar (Kanu Bannerjee), la madre Sarbajaya (Karuna Bannerjee), la sorella Durga (Uma Das Gupta) e l'anziana zia Indir Thakrun (Chunibala Devi). Lutti e gravi difficoltà costringeranno la famiglia a lasciare la campagna per trasferirsi in città.
Primo film diretto da Satyajit Ray e primo capitolo della cosiddetta Trilogia di Apu, tratto da un romanzo di Bibhutibhushan Bandyopadhyay. Quattro sono le influenze decisive che condussero Ray dietro la macchina da presa: l'amore giovanile per il cinema americano classico di Ford e Capra, l'ammirazione per la fotografia di Henri Cartier-Bresson, la scoperta del neorealismo italiano con Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica e l'incontro con Jean Renoir durante le riprese de Il fiume (1951). Da una miracolosa sintesi di questi influssi nacque il film d'esordio di un regista destinato a lasciare un segno profondo nella storia del cinema. All'epoca totalmente privo di cognizioni tecniche di regia, Ray si avvalse della collaborazione di Subrata Mitra, anch'egli all'esordio come direttore della fotografia, con risultati eccezionali ottenuti mediante l'esclusivo utilizzo di illuminazione naturale. Girato con scarsissime risorse economiche, quasi del tutto in esterni, nell'arco di un periodo di tempo durato tre anni, mostra al suo interno una evidente crescita tecnica e stilistica, raggiungendo nella seconda parte vette di intenso lirismo e di grande equilibrio formale. Straordinario nell'esaltare l'umanità di ogni personaggio, Ray non scade mai nel patetismo, pur muovendosi in un contesto di estrema povertà e desolazione. La natura, splendida e crudele, scandisce l'avvicendarsi delle stagioni della vita, immortalata da Ray in sequenze di folgorante bellezza. Fondamentale l'apporto degli effetti sonori e del commento musicale, una sublime tessitura di raga del maestro Ravi Shankar. Il racconto della vita di Apu proseguirà con Aparajito (1957) e Il mondo di Apu (1959).
Primo film diretto da Satyajit Ray e primo capitolo della cosiddetta Trilogia di Apu, tratto da un romanzo di Bibhutibhushan Bandyopadhyay. Quattro sono le influenze decisive che condussero Ray dietro la macchina da presa: l'amore giovanile per il cinema americano classico di Ford e Capra, l'ammirazione per la fotografia di Henri Cartier-Bresson, la scoperta del neorealismo italiano con Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica e l'incontro con Jean Renoir durante le riprese de Il fiume (1951). Da una miracolosa sintesi di questi influssi nacque il film d'esordio di un regista destinato a lasciare un segno profondo nella storia del cinema. All'epoca totalmente privo di cognizioni tecniche di regia, Ray si avvalse della collaborazione di Subrata Mitra, anch'egli all'esordio come direttore della fotografia, con risultati eccezionali ottenuti mediante l'esclusivo utilizzo di illuminazione naturale. Girato con scarsissime risorse economiche, quasi del tutto in esterni, nell'arco di un periodo di tempo durato tre anni, mostra al suo interno una evidente crescita tecnica e stilistica, raggiungendo nella seconda parte vette di intenso lirismo e di grande equilibrio formale. Straordinario nell'esaltare l'umanità di ogni personaggio, Ray non scade mai nel patetismo, pur muovendosi in un contesto di estrema povertà e desolazione. La natura, splendida e crudele, scandisce l'avvicendarsi delle stagioni della vita, immortalata da Ray in sequenze di folgorante bellezza. Fondamentale l'apporto degli effetti sonori e del commento musicale, una sublime tessitura di raga del maestro Ravi Shankar. Il racconto della vita di Apu proseguirà con Aparajito (1957) e Il mondo di Apu (1959).