Il grande silenzio
Die Große Stille
Durata
162
Formato
Regista
La vita dei monaci certosini del monastero di Grenoble, il più antico d'Europa. L'ordine dei certosini è ritenuto una delle confraternite più rigide della Chiesa Cattolica Romana. Nascosta dagli occhi del pubblico, la vita quotidiana dei monaci segue le regole e i rituali secolari dell'ordine. I visitatori e i turisti sono tenuti fuori dai locali del monastero, mentre i monaci vivono in stretta comunanza con Dio e con la natura.
Philip Gröning gira un documentario decisamente anomalo, dal carattere mistico e filosofico, sospeso in una sostanziale atemporalità in cui la contemplazione, il silenzio e la spiritualità (rituale ed esibita o nascosta in piccoli gesti) si fanno testimonianza di un'esistenza votata al sacrificio e a un ideale. Un'esperienza filmica unica sia in quanto tratta del primo caso in cui i certosini accettano di farsi riprendere (nel 1960 due giornalisti furono ammessi nel monastero ma non poterono filmare i monaci) sia per la scelta del regista di rinunciare ai dialoghi, puntando su una messa in scena scarna ed essenziale, espressione visiva di una piccola comunità austera e umile, prescindendo da una narrazione canonica di tipo didattico o informativo. Gröning dunque si limita a mostrare la quotidianità di questi asceti senza apporre ulteriori elementi: un'idea di cinema decisamente radicale senza alcuna concessione agli stilemi del genere documentarista (nessuna didascalia e nessuna voce narrante) che contribuisce a immergere pienamente lo spettatore in una realtà tanto ignota quanto complessa, sfuggevole e decisamente ricca di suggestioni. Strepitoso il lavoro svolto sui dettagli e sulle simbologie sacrali implicita di ogni rituale: il risultato è un'operazione interessante benché a volte diseguale in cui il rischio di ripetitività è sempre dietro l'angolo. Cinema ostico, di non facile fruizione ma indubbiamente stimolante, che può ugualmente essere percepito come respingente o ammaliare, ma che, in ogni caso, non lascia indifferenti. Le trattative tra Gröning e i monaci per la realizzazione di questo film sono durate oltre vent'anni. Strepitoso successo (a sorpresa) in Germania: decisamente meno roboante il riscontro, invece, in Italia.
Philip Gröning gira un documentario decisamente anomalo, dal carattere mistico e filosofico, sospeso in una sostanziale atemporalità in cui la contemplazione, il silenzio e la spiritualità (rituale ed esibita o nascosta in piccoli gesti) si fanno testimonianza di un'esistenza votata al sacrificio e a un ideale. Un'esperienza filmica unica sia in quanto tratta del primo caso in cui i certosini accettano di farsi riprendere (nel 1960 due giornalisti furono ammessi nel monastero ma non poterono filmare i monaci) sia per la scelta del regista di rinunciare ai dialoghi, puntando su una messa in scena scarna ed essenziale, espressione visiva di una piccola comunità austera e umile, prescindendo da una narrazione canonica di tipo didattico o informativo. Gröning dunque si limita a mostrare la quotidianità di questi asceti senza apporre ulteriori elementi: un'idea di cinema decisamente radicale senza alcuna concessione agli stilemi del genere documentarista (nessuna didascalia e nessuna voce narrante) che contribuisce a immergere pienamente lo spettatore in una realtà tanto ignota quanto complessa, sfuggevole e decisamente ricca di suggestioni. Strepitoso il lavoro svolto sui dettagli e sulle simbologie sacrali implicita di ogni rituale: il risultato è un'operazione interessante benché a volte diseguale in cui il rischio di ripetitività è sempre dietro l'angolo. Cinema ostico, di non facile fruizione ma indubbiamente stimolante, che può ugualmente essere percepito come respingente o ammaliare, ma che, in ogni caso, non lascia indifferenti. Le trattative tra Gröning e i monaci per la realizzazione di questo film sono durate oltre vent'anni. Strepitoso successo (a sorpresa) in Germania: decisamente meno roboante il riscontro, invece, in Italia.