Il canale degli angeli

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65

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Venezia, anni Trenta. Anna (Anna Ariani) è sposata con Daniele (Ugo Gracci), di parecchi anni più grande di lei. I due hanno un figlio, Andrea (Pino Locchi). In seguito a un incidente del marito, che sta lavorando a un nuovo canale per il passaggio delle navi, Anna conosce il Capitano (Maurizio D’Ancora) e tra i due nasce del sentimento. Il bambino assiste a un loro scambio di tenerezze e non sa come reagire.

Prima e unica opera di Francesco Pasinetti a discostarsi dal genere documentario, Il canale degli angeli è una non banale disanima di una famiglia, la cui fragilità è vista attraverso gli occhi di un bambino, anticipa di un decennio il soggetto e certe intuizioni de I bambini ci guardano di Vittorio De Sica. Senza molti guizzi o momenti da ricordare, ma allo stesso tempo senza superflue lungaggini melodrammatiche, il film ci mostra una coppia mal assortita con un figlio che è testimone del fugace tradimento della madre: la visione porta il piccolo ad ammalarsi e ad allontanarsi affettivamente dalla donna, scuotendo ancor più le fragili fondamenta del nucleo familiare. La pellicola si apre con immagini di stampo documentaristico-industriale, in cui i macchinari dell’innovazione tecnica stanno cambiando la struttura di Venezia, scavando un nuovo canale per permettere un più rapido accesso alla laguna da parte delle grandi navi (promesse, queste, di una vita lontana e migliore). Allo stesso modo, la modernità mette anche in discussione la struttura familiare classica, aprendo spiragli di libertà che vengono puntualmente disattesi: così come il Capitano non riuscirà a partire in un transatlantico diretto negli Stati Uniti e dovrà accontentarsi di un viaggio più modesto, così a lui e Anna è negata una vita insieme. Ecco che la ricongiunzione finale (tutt’altro che entusiastica) tra Anna e il marito ha più il sapore della resa che del lieto fine, criticando, nei limiti del rappresentabile per la sua epoca, una società che soffoca i sentimenti sinceri in favore delle apparenze. Oltre a questo, è estremamente interessante il modo in cui Pasinetti presenta Venezia: molte sono le inquadrature oblique della città, che si allontanano dall’immagine stereotipata della stessa per riportare allo spettatore una prospettiva più intima e realistica. Più conosciuto per il suo brillante e pionieristico contributo teorico (primo in Italia a scrivere una tesi sulla storia del cinema e successivamente insegnante e direttore presso il Centro Sperimentale di Cinematografia), il lavoro registico di Pasinetti, ugualmente all’avanguardia, non va sottovalutato.
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