Alì
Alì
Durata
157
Formato
Regista
Dieci anni di vita di uno dei più celebri pugili della storia: dal 1964 al 1974. Cassius Clay (Will Smith) sconfigge Sonny Liston e si laurea campione dei pesi massimi. Poco dopo Clay conosce Malcom X (Mario Van Peebles), si converte all'Islam e ripudia il suo nome di battesimo, diventando Muhammad Ali. Processato perché si rifiuta di partire per il Vietnam e poi assolto, Ali torna sul ring e batte prima Joe Frazier (James Toney) e poi George Foreman (Charles Shufford) nello storico Rumble in the Junge, incontro ospitato a Kinshasa in Zaire.
Inconsueta incursione nel genere biopic per Michael Mann con una storia in cui pubblico e privato del grande campione vengono trattati con uguale attenzione e con uno sguardo refrattario a qualsiasi facile agiografia (mettendone anzi in luce contraddizioni e spigolosità caratteriali). Come al solito il regista mostra straordinaria padronanza del mezzo cinematografico e tecnicamente il film riesce a regalare momenti altissimi, specie negli splendidi combattimenti, coreografati e montati in maniera mirabile, con una menzione particolare per l'incontro finale contro Foreman. A funzionare meno è la parte più narrativa e decisamente più convenzionale, dove la personalità e lo spirito inventivo di Mann appaiono tarpati in nome di una classicità mainstream che è quanto di più lontano si possa pensare rispetto allo stile di racconto dell'autore di Chicago, fatto soprattutto di silenzi, ellissi, valorizzazione delle componente visiva e sottrazione dell'esplicità di senso. Il risultato è un compromesso al ribasso che funziona in modo discontinuo ed è riscattato da una confezione impeccabile (ottima la fotografia di Emmanuel Lubezki che preannuncia in parte le successive sperimentazioni manniane nel campo del digitale), da una notevolissima parte iniziale e un altrettanto sontuoso finale nonchè dalla prestazione di Will Smith, nominato all'Oscar così come Jon Voight.
Inconsueta incursione nel genere biopic per Michael Mann con una storia in cui pubblico e privato del grande campione vengono trattati con uguale attenzione e con uno sguardo refrattario a qualsiasi facile agiografia (mettendone anzi in luce contraddizioni e spigolosità caratteriali). Come al solito il regista mostra straordinaria padronanza del mezzo cinematografico e tecnicamente il film riesce a regalare momenti altissimi, specie negli splendidi combattimenti, coreografati e montati in maniera mirabile, con una menzione particolare per l'incontro finale contro Foreman. A funzionare meno è la parte più narrativa e decisamente più convenzionale, dove la personalità e lo spirito inventivo di Mann appaiono tarpati in nome di una classicità mainstream che è quanto di più lontano si possa pensare rispetto allo stile di racconto dell'autore di Chicago, fatto soprattutto di silenzi, ellissi, valorizzazione delle componente visiva e sottrazione dell'esplicità di senso. Il risultato è un compromesso al ribasso che funziona in modo discontinuo ed è riscattato da una confezione impeccabile (ottima la fotografia di Emmanuel Lubezki che preannuncia in parte le successive sperimentazioni manniane nel campo del digitale), da una notevolissima parte iniziale e un altrettanto sontuoso finale nonchè dalla prestazione di Will Smith, nominato all'Oscar così come Jon Voight.