Chicago, 2035. I robot fanno parte della quotidianità, assumendo compiti che semplificano la vita umana. Il detective Del Spooner (Will Smith), da sempre diffidente nei confronti dell'intelligenza artificiale, viene incaricato di indagare sull'apparente suicidio del fondatore della U.S. Robotics, Alfred Lanning (James Cromwell). Imprevisti in agguato.

Con Io, robot, Alex Proyas si piega agli standard hollywoodiani, confezionando un lungometraggio mediocre e prevedibile. Tratto (molto) liberamente dall'omonima antologia di racconti firmata Isaac Asimov, il film propone gli elementi adatti per uniformarsi con precisione allo schema del tipico blockbuster americano: budget milionario, umorismo spicciolo, product placement imbarazzante e un pezzo da novanta come protagonista. Will Smith, più ingabbiato che mai nel ruolo dello sbirro ribelle, grilletto facile e battuta pronta, è lo stereotipo di se stesso, ripescando dai vecchi ruoli in Bad Boys (Michael Bay, 1995), Independence Day (Roland Emmerich, 1996) e Men in Black (Barry Sonnenfeld, 1997). Almeno i robot e gli effetti speciali appaiono riusciti. Un film routinario che, nonostante la banalità dell'intreccio, intrattiene senza la minima necessità d'impegno da parte dello spettatore. In ogni caso, le attese (di qualunque tipo esse siano) vengono disilluse: dal connubio Proyas-Asimov ci si poteva aspettare qualcosa in più. Sceneggiatura di Jeff Vintar e Akiva Goldsman; musiche di Marco Beltrami.
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