
La nona sinfonia
Schlußakkord
Durata
100
Formato
Regista
Dopo il ritrovamento del cadavere del marito a Central Park, Hanna (Maria von Tasnady) torna nella natìa Germania, dove aveva lasciato il figlioletto prima di partire per l'America. Si fa assumere come governante nella casa del direttore d'orchestra Garvenberg (Willy Birgel), il quale ha adottato il bambino. I due saranno sospettati della morte di Charlotte (Lil Dagover), moglie di Garvenberg, suicidatasi in realtà con una overdose di morfina.
Al quinto lungometraggio, il tedesco Detlef Sierck (futuro Douglas Sirk) segna una tappa significativa all'interno della sua prima produzione, realizzando una pellicola di suggestiva raffinatezza europea che porta in germe il suo sguardo elegante per le passioni melodrammatiche. Prodotto dalla UFA e girato a Berlino, il film manipola gli stilemi del mélo con una finezza che evita ogni facile sentimentalismo e sfrutta il fascino della musica (elemento portante della narrazione) in chiave simbolica. L'approccio distaccato e vagamente snob non impedisce di appassionarsi a una vicenda solida nella scrittura e impeccabile nella resa stilistica. Bella la contrapposizione tra gli Stati Uniti e una Germania sospesa tra la decadenza della Repubblica di Weimar e lo spettro del Terzo Reich. Fondamentale il contributo dello scenografo Erich Kettelhut, art director espressionista che lavorò con Fritz Lang per I nibelunghi (1924) e Metropolis (1927). Nella colonna sonora Beethoven, Händel, Čajkovskij. Lirico e struggente, con ottime sequenze musicali. Da (ri)scoprire.
Al quinto lungometraggio, il tedesco Detlef Sierck (futuro Douglas Sirk) segna una tappa significativa all'interno della sua prima produzione, realizzando una pellicola di suggestiva raffinatezza europea che porta in germe il suo sguardo elegante per le passioni melodrammatiche. Prodotto dalla UFA e girato a Berlino, il film manipola gli stilemi del mélo con una finezza che evita ogni facile sentimentalismo e sfrutta il fascino della musica (elemento portante della narrazione) in chiave simbolica. L'approccio distaccato e vagamente snob non impedisce di appassionarsi a una vicenda solida nella scrittura e impeccabile nella resa stilistica. Bella la contrapposizione tra gli Stati Uniti e una Germania sospesa tra la decadenza della Repubblica di Weimar e lo spettro del Terzo Reich. Fondamentale il contributo dello scenografo Erich Kettelhut, art director espressionista che lavorò con Fritz Lang per I nibelunghi (1924) e Metropolis (1927). Nella colonna sonora Beethoven, Händel, Čajkovskij. Lirico e struggente, con ottime sequenze musicali. Da (ri)scoprire.