Stella (Camilla Filippi) è salita in cima al cornicione, vestita da sposa, in una giornata di tempesta. Sotto di lei il precipizio, alle sue spalle quella casa che a lei sembra sempre più vuota. Sta per buttarsi, ma qualcuno bussa alla sua porta: uno sconosciuto (Guido Caprino) che sostiene di aver prenotato lì una stanza tramite un sito Internet. Poco importa che quel sito non sia più attivo da tempo e che lo Sconosciuto non mostri ricevute di prenotazione o documenti di identità: l'uomo asserisce di conoscere Sandro (Edoardo Pesce), l'ex marito di Stella che se ne è andato senza più tornare, e la sposa abbandonata spera ancora di rivederlo. Dunque accoglie quello straniero che sembra conoscere molte cose di lei, senza valutare fino in fondo le conseguenze della sua decisione.

Tentativo di realizzare un film dell’orrore in interni con elementi familiari e soprannaturali, sfruttando il rimosso tormentato del passato dei personaggi e un’ambientazione claustrofobica, La stanza si gioca la carta di un racconto di tensione che possa accogliere al suo interno una componente da thriller psicologico e da horror vacui dell’anima e dell’infanzia. Le premesse elettrizzanti e di genere ci sono tutte, anche perché la regia dimostra una buona mano nel suggerire e nell’alludere amplificando dubbi e misteri negli anfratti di certi spazi, le scenografie chiaroscurali con carte da parati fuori tempo massimo sembrano fare al caso della storia e delle sue atmosfere e si respira anche un’ottica chimica tra gli interpreti, a cominciare da una convincente Camilla Filippi e un ottimo Guido Caprino (tutti alla prese con una recitazione anti-naturalista funzionale, un po’ mind game e un po’ Blumhouse). Peccato però che, dopo un’ottima prima mezz’ora, in cui si segnala anche un uso interessante, antifrastico e dissonante di brani musicali (nello specifico la hit anni ’80 Stella Stai di Umberto Tozzi), i dialoghi si facciano sempre più ridondanti e ingombranti e i brividi risicati. L’impianto troppo statico della messa in scena, tra l’altro, finisce col risultare più una zavorra simil-teatrale che un potenziale cinematografico potenzialmente deflagrante e destabilizzante e, pur con qualche freccia al suo arco, l’operazione somiglia alla più classica delle occasioni perse, visto che il coinvolgimento dello spettatore un po’ si paralizza e i fantasmi più torbidi e cruciali riemergono solamente nel finale, tornando ad affollare l’impianto orrorifico e l sue traiettorie quando ormai si avvicina inesorabilmente la conclusione. Anche delle soluzioni di montaggio in certi climax emotivi, ora troppo pacchiane ora timorose ed eccessivamente dispersive e segmentate, tendono a disperdere il potenziale, in particolare dell’interpretazione allucinata di Caprino. Scritto dal regista Stefano Lodovichi con Filippo Gili e Francesco Agostini.
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