Lettere dal Sahara
Durata
100
Formato
Regista
Assane (Djibril Kébé) è un giovane senegalese che, dopo la morte del padre, decide di emigrare in Italia. Da Lampedusa sino a Torino passando per diverse città, il suo viaggio comprenderà pericoli, lavori in nero, richieste di soggiorno e altre complicazioni. Quando finalmente tutto sembra volgere al meglio, una banda di razzisti lo aggredisce.
Vittorio De Seta iniziò la sua carriera cinematografica come regista di documentari con Lu tempu de li pesci spata (1954) per passare solo in un secondo momento alla regia di opere di finzione. Lettere dal Sahara risente molto di questa impronta soprattutto nella prima parte, efficace e riuscita, capace di immedesimare lo spettatore nell'oblio dei viaggi clandestini degli immigrati. Pian piano che il film scorre, tuttavia, il regista sembra perdere progressivamente il controllo sulla materia. La pellicola si indirizza ben presto verso un finale banale, decisamente scontato, ricco di spicciola retorica e immerso in un'atmosfera buonista del tutto fuori luogo, che stride con lo stile e il consueto approccio rispettoso e neutrale del regista. Un progetto riuscito solo per metà, che sottolinea una sorta di mancanza di continuità da parte dell'autore (effettivamente l'ultimo suo lavoro di fiction prima di questo risale al 1973, Diario di un maestro) e una certa stanchezza dovuta, probabilmente, alla sua non più giovane età (De Seta è nato nel 1923).
Vittorio De Seta iniziò la sua carriera cinematografica come regista di documentari con Lu tempu de li pesci spata (1954) per passare solo in un secondo momento alla regia di opere di finzione. Lettere dal Sahara risente molto di questa impronta soprattutto nella prima parte, efficace e riuscita, capace di immedesimare lo spettatore nell'oblio dei viaggi clandestini degli immigrati. Pian piano che il film scorre, tuttavia, il regista sembra perdere progressivamente il controllo sulla materia. La pellicola si indirizza ben presto verso un finale banale, decisamente scontato, ricco di spicciola retorica e immerso in un'atmosfera buonista del tutto fuori luogo, che stride con lo stile e il consueto approccio rispettoso e neutrale del regista. Un progetto riuscito solo per metà, che sottolinea una sorta di mancanza di continuità da parte dell'autore (effettivamente l'ultimo suo lavoro di fiction prima di questo risale al 1973, Diario di un maestro) e una certa stanchezza dovuta, probabilmente, alla sua non più giovane età (De Seta è nato nel 1923).