Rosaura a las diez

Una donna si presenta alla porta di una pensione e viene accolta calorosamente: è Rosaura (Susana Campos), la fidanzata di uno degli inquilini. Ma il rapporto tra i due è ambiguo e dal finale tragico: la polizia inizia a investigare, interrogando vari testimoni.

Dopo aver raggiunto la fama in patria grazie a ritratti storico-realisti della società argentina (Prisioneros de la tierra su tutti), Soffici passa al noir e a un racconto frammentato e dai molteplici punti di vista, sulla falsa riga di Rashomon, ma in salsa urbana e borghese. A differenza del capolavoro di Kurosawa, però, in cui i protagonisti mentivano per un forte senso dell’onore, in questo film nessuno sa la verità completa: quella che viene rappresentata è quindi una società senza reali punti di riferimento morali o etici, la cui prospettiva è costantemente insufficiente per comprendere il proprio presente. Anche quella che dovrebbe essere la spiegazione finale, non è che un ennesimo punto di partenza, e il film si chiude con la stessa scena di apertura. È una pellicola in costante mutamento, che parte con toni melodrammatici lontani dal glamour hollywoodiano e vira poi nel thriller psicologico e nel poliziesco, riuscendo a giostrarsi efficacemente tra i generi. Interessante, anche da un punto di vista teorico, la versione del pittore Canegato (Juan Verdaguer) dove l’arte diventa un modo per creare delle finzioni che hanno effetti concreti, benché imprevedibili e incontrollabili, sulla realtà. Peccato per qualche passaggio troppo didascalico, che toglie un po' di fascino a questa interessa pellicola. Il regista interpreta il presunto padre di Rosaura. Tratto dall’omonimo romanzo di Marco Denevi, che era però in grado di rappresentare in maniera decisamente più profonda i personaggi, e presentato in concorso all’undicesima edizione del Festival di Cannes.