Cile, 1901. Tre cavalieri vengono pagati per proteggere un possedimento. Sono un soldato britannico, un mercenario americano e un cecchino di razza mista, che si rende conto che la sua vera missione è uccidere la popolazione indigena.

Felipe Gálvez, al suo primo lungometraggio, decide di raccontare la fondazione nazionale in forma revisionista: sceglie quindi di mettere in scena un capitolo che era stato eradicato dai libri di storia cilena, il genocidio del popolo nativo dei Selk’nam. L’argomento è delicatissimo, e il neo regista lo tratta con la giusta attenzione, senza strafare con le scene di violenza, pur non edulcorando il comportamento sanguinario dei colonizzatori. MacLennan e Bill fanno a gara di machismo, esprimendo tutta la loro rozzezza davanti agli occhi di un dolente Segundo, con cui non si può non empatizzare di fronte all’orrore che è costretto a subire e a praticare. Nettamente diviso in due parti, a loro volta divise in capitoli, il film ha dalla sua una stupenda fotografia, che rende la Tierra del Fuego la grande protagonista, e delle interpretazioni intense. Alcuni personaggi della prima parte appaiono leggermente gratuiti e l’incontro con loro spezza un po’ il ritmo generale. Nonostante ciò, la scrittura è quasi sempre sul pezzo (Mariano Llinás è tra gli autori della sceneggiatura) e il finale non si dimentica facilmente.
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