
Manila paloma blanca
Durata
85
Formato
Regista
Carlo Carbone (Carlo Colnaghi) è un ex attore, ormai in preda a devastanti crisi nervose che lo costringono a entrare e uscire dalle cliniche psichiatriche. Conduce una vita approssimativa, tra dormitori e mense pubbliche, che nasconde anche a Sara (Alessandra Comerio), una bella gallerista con la quale stringe una relazione semiclandestina.
Il film è un omaggio a Carlo Colmaghi, ex-attore teatrale che, in questa pellicola, interpreta sostanzialmente se stesso: quella dell'attore-personaggio è una personalità deviata e in crisi, travolta dalla solitudine, ghettizzata e messa ai margini dalla vita e dal palcoscenico. Daniele Segre dirige il racconto, realistico e verisimile, di una pazzia, e lo amplia da una dimensione individuale a quella, più ampia, di un'umanità disperata, alla ricerca di una qualsiasi soluzione che tuttavia continua ad apparire posticcia e inutile. Il regista affida al personaggio principale il compito di esprimere il disagio dell'alienazione attraverso l'unico canale possibile: la finzione scenica, esasperata fino al grottesco dalla recitazione del protagonista e dal suo modo di rapportarsi con la macchina da presa. Assume un ruolo fondamentale nella dimensione filmica la città di Torino (esaltata dalla fotografia sgranata e volutamente povera di Luca Bigazzi), proscenio di una vita accattona, di sentimenti sprezzanti, di ricchezza e miseria, in cui la regia spazia con estrema morbidezza, alternando riprese lunghe a primi piani colmi di pathos. Il dualismo, dato dalla convivenza e dal contrasto colore/ bianco e nero movimenta elegantemente la narrazione, dandole vivacità ma spesso peccando di un certo autocompiacimento. Il risultato è un film estremo, a tratti autolesionista e per questo imperdonabilmente vulnerabile, ma decisamente interessante e a tratti intenso. Il soggetto è stato scritto da Daniele Segre e dallo stesso Colnaghi.
Il film è un omaggio a Carlo Colmaghi, ex-attore teatrale che, in questa pellicola, interpreta sostanzialmente se stesso: quella dell'attore-personaggio è una personalità deviata e in crisi, travolta dalla solitudine, ghettizzata e messa ai margini dalla vita e dal palcoscenico. Daniele Segre dirige il racconto, realistico e verisimile, di una pazzia, e lo amplia da una dimensione individuale a quella, più ampia, di un'umanità disperata, alla ricerca di una qualsiasi soluzione che tuttavia continua ad apparire posticcia e inutile. Il regista affida al personaggio principale il compito di esprimere il disagio dell'alienazione attraverso l'unico canale possibile: la finzione scenica, esasperata fino al grottesco dalla recitazione del protagonista e dal suo modo di rapportarsi con la macchina da presa. Assume un ruolo fondamentale nella dimensione filmica la città di Torino (esaltata dalla fotografia sgranata e volutamente povera di Luca Bigazzi), proscenio di una vita accattona, di sentimenti sprezzanti, di ricchezza e miseria, in cui la regia spazia con estrema morbidezza, alternando riprese lunghe a primi piani colmi di pathos. Il dualismo, dato dalla convivenza e dal contrasto colore/ bianco e nero movimenta elegantemente la narrazione, dandole vivacità ma spesso peccando di un certo autocompiacimento. Il risultato è un film estremo, a tratti autolesionista e per questo imperdonabilmente vulnerabile, ma decisamente interessante e a tratti intenso. Il soggetto è stato scritto da Daniele Segre e dallo stesso Colnaghi.