Manodopera
Interdit aux chiens et aux Italiens
Durata
70
Formato
Regista
Storia di una famiglia di lavoratori nomadi italiani emigrati in Francia, tra fine 800 e metà 900. La dura realtà della manovalanza, lo sradicamento e gli ulteriori spostamenti, lo sfruttamento, il razzismo subìto, guerra, fame, separazione e morte sempre dietro l'angolo. Tutto a testa alta, con la dignità di un'Italia povera di altri tempi.
Utilizzando la stop motion, Alain Ughetto crea con le mani un dono struggente alla propria famiglia (lui francese di origini italiane), segnata dall'appartenenza (appunto) alla manovalanza, per mostrare la forza fisica e morale di chi ha combattuto tutta la vita per i propri cari, e dà un volto, umanizzandola (paradossalmente con le marionette), alla generica categoria sociale del titolo. Narrata dalla voce di nonna Cesira (marionetta come tutti gli altri), che dialoga col vero "gigantesco" nipote (di cui non a caso vediamo solo le mani), la storia si dipana attraverso siparietti comici e drammatici che spesso si intrecciano tra loro, con lo stoico senso di accettazione che caratterizza un certo tipo di umanità considerata "semplice". L'uso degli oggetti per (ri)creare un mondo è ammirevole (zucche come case, cavolfiori come alberi ecc..), nonostante non sia troppo originale, mentre la comicità rischia di essere a tratti superficiale e un po’ puerile (come la gag della mucca-giocattolo, che si rivela tale anche ai personaggi), ma non mancano passaggi sagaci e ficcanti (vedi la scena in cui tutti, in famiglia, si fingono matti per scampare ai fascisti. «Olio di ricino?», «Non ne hanno bisogno»). La poesia è tanta (vedi le scene romantiche dei nonni), la libertà espressiva pure (a metà vediamo una fotografia con i "veri" personaggi), ed è pregnante proprio la scelta di far dialogare il regista con la nonna in plastilina: vedere lei che gli cuce le calze ribadisce l'enorme laboriosità anche delle donne in quel contesto; sentire il nipote ammirato dalla bellezza dell'anello matrimoniale di lei – inevitabilmente per lui molto più piccolo – trasmette la preziosità di un'umanità lontana e scomparsa.
Utilizzando la stop motion, Alain Ughetto crea con le mani un dono struggente alla propria famiglia (lui francese di origini italiane), segnata dall'appartenenza (appunto) alla manovalanza, per mostrare la forza fisica e morale di chi ha combattuto tutta la vita per i propri cari, e dà un volto, umanizzandola (paradossalmente con le marionette), alla generica categoria sociale del titolo. Narrata dalla voce di nonna Cesira (marionetta come tutti gli altri), che dialoga col vero "gigantesco" nipote (di cui non a caso vediamo solo le mani), la storia si dipana attraverso siparietti comici e drammatici che spesso si intrecciano tra loro, con lo stoico senso di accettazione che caratterizza un certo tipo di umanità considerata "semplice". L'uso degli oggetti per (ri)creare un mondo è ammirevole (zucche come case, cavolfiori come alberi ecc..), nonostante non sia troppo originale, mentre la comicità rischia di essere a tratti superficiale e un po’ puerile (come la gag della mucca-giocattolo, che si rivela tale anche ai personaggi), ma non mancano passaggi sagaci e ficcanti (vedi la scena in cui tutti, in famiglia, si fingono matti per scampare ai fascisti. «Olio di ricino?», «Non ne hanno bisogno»). La poesia è tanta (vedi le scene romantiche dei nonni), la libertà espressiva pure (a metà vediamo una fotografia con i "veri" personaggi), ed è pregnante proprio la scelta di far dialogare il regista con la nonna in plastilina: vedere lei che gli cuce le calze ribadisce l'enorme laboriosità anche delle donne in quel contesto; sentire il nipote ammirato dalla bellezza dell'anello matrimoniale di lei – inevitabilmente per lui molto più piccolo – trasmette la preziosità di un'umanità lontana e scomparsa.