Thomas (Dylan O'Brien) si risveglia in un luogo sconosciuto chiamato “Radura”, non ricordando nulla del proprio passato: dovrà adeguarsi alle rigide regole dei compagni e scoprirà l'esistenza di un labirinto, popolato da creature chiamate “Dolenti”, che forse nasconde una via d'uscita.

L'esordiente al lungometraggio Wes Ball adatta The Maze Runner, romanzo scritto nel 2009 da James Dashner, e utilizza il genere fantascientifico per riflettere su temi archetipici quali la libertà individuale, la scelta, la fuga. Dopo un inizio assai interessante, esaltato dal fascino del labirinto (metafora pregna e sfuggente come poche altre) e da rimandi sociologici non certo nuovi ma articolati intelligentemente (le gerarchie, la struttura tribale di un microcosmo intrappolato nell'immobilismo), il film si perde tra siparietti logoranti (le tensioni interne al gruppo che denotano la paura del cambiamento), effetti speciali eccessivi e fracassoni e una tecnica convulsa da videoclip. E il finale apocalittico, colmo di inutile retorica e aperto a un seguito che è già in pre-produzione, si rivela decisamente sottotono. Un peccato, date le premesse e le potenzialità di una sceneggiatura che rielabora universi cinematografici e letterari entrati di diritto nell'immaginario comune. Innegabile, comunque, un notevole impatto visivo, presente soprattutto nel disegno della struttura labirintica.

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