Mille anni di buone preghiere
A Thousand Years of Good Prayers
Durata
83
Formato
Regista
Mister Shi (Henry O) raggiunge gli Stati Uniti per trascorrere del tempo con la figlia emigrata (Yu Feihong) e divorziata da poco. Imparando, con qualche scontro e sofferenza, a conoscerla davvero e a ritrovarla, stringerà nel frattempo un legame sempre più stretto con una signora d'origine iraniana (Vida Ghahremani).
Regista discontinuo e curioso, capace di passare da film discreti come Smoke (1995) ad altri comunque interessanti, anche se non esattamente riusciti, come Chinese Box (1997) e a opere totalmente anonime come Un amore a 5 stelle (2002), Wayne Wang realizza in questo caso un gentile e amaro ritratto intimista di due interiorità che si sfuggono e si inseguono continuamente, imparando a capirsi e a parlarsi davvero. Il racconto avanza con la calma di chi si lascia trasportare dalla forza, a volte gentile e a volte spietata, dei sentimenti in questione, così come la regia, all'insegna di un iperrealismo evidente (marchio di fabbrica dell'autore), cerca di essere il meno invadente possibile (fatto già più sorprendente): lo testimonia, per esempio, la fotografia votata ai colori monocordi, spesso con le tonalità di grigio dominanti. Sul risultato finale pesano certi momenti insistiti e qualche melensaggine di troppo, ma nel complesso si colpiscono le corde emotive giuste e anche gli attori fanno bene il loro dovere. Inoltre, non manca, soprattutto nella prima parte, un lieve umorismo. Da un romanzo di Li Yiyun.
Regista discontinuo e curioso, capace di passare da film discreti come Smoke (1995) ad altri comunque interessanti, anche se non esattamente riusciti, come Chinese Box (1997) e a opere totalmente anonime come Un amore a 5 stelle (2002), Wayne Wang realizza in questo caso un gentile e amaro ritratto intimista di due interiorità che si sfuggono e si inseguono continuamente, imparando a capirsi e a parlarsi davvero. Il racconto avanza con la calma di chi si lascia trasportare dalla forza, a volte gentile e a volte spietata, dei sentimenti in questione, così come la regia, all'insegna di un iperrealismo evidente (marchio di fabbrica dell'autore), cerca di essere il meno invadente possibile (fatto già più sorprendente): lo testimonia, per esempio, la fotografia votata ai colori monocordi, spesso con le tonalità di grigio dominanti. Sul risultato finale pesano certi momenti insistiti e qualche melensaggine di troppo, ma nel complesso si colpiscono le corde emotive giuste e anche gli attori fanno bene il loro dovere. Inoltre, non manca, soprattutto nella prima parte, un lieve umorismo. Da un romanzo di Li Yiyun.