Un gruppo di eccentriche femministe omosessuali deciso a bandire il genere maschile, trama i suoi progetti usando un convento come copertura. La "madre superiora" (Susanne Sachsse) impartisce ordini e indicazioni alle proprie adepte, ciascuno delle quali incarna un modello di femminilità. Quando una di loro decide di ospitare di nascosto un soldato ferito (Til Schindler), la situazione si complica...



«Somewhere in Ger(wo)many», recita la didascalia iniziale. Bruce LaBruce, figura di culto all'interno del panorama queer contemporaneo, gioca in maniera irriverente ma spesso decisamente noiosa con la sessualità, confinando il maschio a un ruolo marginale e concentrandosi su uno stravagante femminismo 2.0. La galleria di personaggi strappa qualche sorriso (come nel caso della preghiere per ringraziare il Signore), ma la pochezza dell'insieme è davvero preoccupante, anche perché, a causa di una eccessiva verbosità, il film non riesce mai a essere nemmeno un trasgressivo intrattenimento. L'utopia del mondo senza uomini poteva essere uno spunto davvero interessante se affrontato con un più marcato gusto per l'eccesso. Al di là di qualche sequenza più estetizzante, il risultato finale appare davvero sciapo e inconcludente, il gusto per l'anarchia si esaurisce in un nulla di fatto e il sarcasmo latita. Presentato nella sezione Panorama della Berlinale 2017.
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