Montedoro
Durata
88
Formato
Regista
Pia Marie (Pia Marie Mann) è una donna newyorchese che giunge in Basilicata alla ricerca delle proprie origini e della madre: dalla frenetica realtà della Grande Mela sarà calata tra i fantasmi, reali e immaginari, di un passato rurale denso di tradizione e superstizione.
L’intensità che caratterizza un ritorno alle proprie origini, inteso come ricerca dell’identità e dell’io: è questo il tassello fondamentale del mosaico tutto lucano, già di suo molteplice e variegato, che contraddistingue l’esordio di Antonello Faretta. Montedoro è, nella realtà, Craco, paese fantasma della provincia di Matera che da più di cinquant’anni è stato evacuato a seguito di una tremenda frana. Ma Craco esiste e resiste, donando un senso di maestosità e mistero alla cresta della montagna su cui sorge. Faretta utilizza la vera storia di Craco unendola alla “vera” storia di Pia Marie, che incarna sé stessa; Montedoro è quindi il racconto di qualcosa che non c’è più, ma che continua nonostante tutto a vivere e pulsare su un doppio livello di realismo e verosimiglianza, a tratti forzato e fin troppo sbandierato, ma non per questo meno carico di misteri, rimandi interni, evocazioni multiple. Un posto «fantastico e magico, dove sembra che il mondo non sia mai passato», che Pia Marie tenta di “catturare” con la macchina fotografica; ma l’anima di Craco è inafferrabile, proprio come è sfuggente e indefinibile lo spirito dello spiazzante film di Faretta, che pur con molti limiti di tenuta complessiva si destreggia tra passaggi quasi documentaristici e sequenze di pura visionarietà onirica, complice anche l’apporto musicale di una colonna sonora tanto minimale quanto straniante ed efficace. «Mi sono convinto che dovevo restare là a spiare tra le crepe del paese e di questa donna» è quanto afferma Faretta riguardo alla genesi del film: in quelle crepe riesce a trascinare anche lo spettatore, con tutte le contraddizioni del caso. A Craco Mel Gibson girò il suicidio di Giuda nel suo La passione di Cristo (2004).
L’intensità che caratterizza un ritorno alle proprie origini, inteso come ricerca dell’identità e dell’io: è questo il tassello fondamentale del mosaico tutto lucano, già di suo molteplice e variegato, che contraddistingue l’esordio di Antonello Faretta. Montedoro è, nella realtà, Craco, paese fantasma della provincia di Matera che da più di cinquant’anni è stato evacuato a seguito di una tremenda frana. Ma Craco esiste e resiste, donando un senso di maestosità e mistero alla cresta della montagna su cui sorge. Faretta utilizza la vera storia di Craco unendola alla “vera” storia di Pia Marie, che incarna sé stessa; Montedoro è quindi il racconto di qualcosa che non c’è più, ma che continua nonostante tutto a vivere e pulsare su un doppio livello di realismo e verosimiglianza, a tratti forzato e fin troppo sbandierato, ma non per questo meno carico di misteri, rimandi interni, evocazioni multiple. Un posto «fantastico e magico, dove sembra che il mondo non sia mai passato», che Pia Marie tenta di “catturare” con la macchina fotografica; ma l’anima di Craco è inafferrabile, proprio come è sfuggente e indefinibile lo spirito dello spiazzante film di Faretta, che pur con molti limiti di tenuta complessiva si destreggia tra passaggi quasi documentaristici e sequenze di pura visionarietà onirica, complice anche l’apporto musicale di una colonna sonora tanto minimale quanto straniante ed efficace. «Mi sono convinto che dovevo restare là a spiare tra le crepe del paese e di questa donna» è quanto afferma Faretta riguardo alla genesi del film: in quelle crepe riesce a trascinare anche lo spettatore, con tutte le contraddizioni del caso. A Craco Mel Gibson girò il suicidio di Giuda nel suo La passione di Cristo (2004).