Paesaggio dopo la battaglia
Krajobraz po bitwie
Durata
109
Formato
Regista
Alcuni internati in un campo di concentramento, subito dopo la fine della guerra, vengono portati dagli americani in una caserma per essere curati, raccolti e smistati. Tra di loro un intellettuale polacco, Tadeusz (Daniel Olbrychski), incerto se tornare o meno in patria, che si innamora di una giovane ebrea, Nina (Stanislawa Celinska).
Andrzej Wajda adatta per lo schermo alcuni racconti di Tadeusz Borowski, scrittore sopravvissuto ad Auschwitz e morto suicida nemmeno trentenne. L'opera è un'amarissima e simbolica messa in scena dei momenti immediatamente successivi la fine del conflitto, che racconta di come coloro che hanno vissuto l'orrore assoluto, l'Olocausto, finiscano a dover sottostare a regole assurde, a tutti gli effetti prigionieri negli stessi luoghi dello sterminio. Il protagonista di Daniel Olbrychski, attore-chiave per il cinema di Wajda, è disilluso e disperatamente aggrappato al cinismo come estrema difesa. Alcune sequenze sono di grande impatto, a cominciare dall'apertura, venata di nera ironia, in cui i prigionieri liberati si catapultano fuori dal campo di concentramento con il sottofondo delle Quattro stagioni di Vivaldi; anche se alcuni eccessi retorici e un intellettualismo a tratti indigesto minano il, comunque più che discreto, risultato finale. Presentato in concorso al Festival di Cannes.
Andrzej Wajda adatta per lo schermo alcuni racconti di Tadeusz Borowski, scrittore sopravvissuto ad Auschwitz e morto suicida nemmeno trentenne. L'opera è un'amarissima e simbolica messa in scena dei momenti immediatamente successivi la fine del conflitto, che racconta di come coloro che hanno vissuto l'orrore assoluto, l'Olocausto, finiscano a dover sottostare a regole assurde, a tutti gli effetti prigionieri negli stessi luoghi dello sterminio. Il protagonista di Daniel Olbrychski, attore-chiave per il cinema di Wajda, è disilluso e disperatamente aggrappato al cinismo come estrema difesa. Alcune sequenze sono di grande impatto, a cominciare dall'apertura, venata di nera ironia, in cui i prigionieri liberati si catapultano fuori dal campo di concentramento con il sottofondo delle Quattro stagioni di Vivaldi; anche se alcuni eccessi retorici e un intellettualismo a tratti indigesto minano il, comunque più che discreto, risultato finale. Presentato in concorso al Festival di Cannes.