Alcuni internati in un campo di concentramento, subito dopo la fine della guerra, vengono portati dagli americani in una caserma per essere curati, raccolti e smistati. Tra di loro un intellettuale polacco, Tadeusz (Daniel Olbrychski), incerto se tornare o meno in patria, che si innamora di una giovane ebrea, Nina (Stanislawa Celinska).

Andrzej Wajda adatta per lo schermo alcuni racconti di Tadeusz Borowski, scrittore sopravvissuto ad Auschwitz e morto suicida nemmeno trentenne. L'opera è un'amarissima e simbolica messa in scena dei momenti immediatamente successivi la fine del conflitto, che racconta di come coloro che hanno vissuto l'orrore assoluto, l'Olocausto, finiscano a dover sottostare a regole assurde, a tutti gli effetti prigionieri negli stessi luoghi dello sterminio. Il protagonista di Daniel Olbrychski, attore-chiave per il cinema di Wajda, è disilluso e disperatamente aggrappato al cinismo come estrema difesa. Alcune sequenze sono di grande impatto, a cominciare dall'apertura, venata di nera ironia, in cui i prigionieri liberati si catapultano fuori dal campo di concentramento con il sottofondo delle Quattro stagioni di Vivaldi; anche se alcuni eccessi retorici e un intellettualismo a tratti indigesto minano il, comunque più che discreto, risultato finale. Presentato in concorso al Festival di Cannes.
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