Mutant Aliens
Mutant Aliens
Durata
81
Formato
Regista
Un astronauta dato per morto torna sulla Terra dopo vent’anni. Cerca vendetta contro il dipartimento governativo che lo abbandonò nello spazio, e non viene da solo.
Comicità visiva, spezzoni cantati che scimmiottano i musical Disney e semplice ma pungente critica al potere e all’intrattenimento di massa (questa volta è la pubblicità a essere nel mirino) sono gli ingredienti che riconfermano tutti gli interessi e le idiosincrasie del primo Plympton. Al netto di una estetica splatter leggermente diminuita, lo stile ricalca quello del suo film precedente, I married a strange person!, con però una trama più coesa, per quanto assurda e superando il limite del cattivo gusto. Difetti, questi? Sicuramente non per il regista, ma lo spettatore rischia di scontrarsi con questo stile narrativo singolare e straniante a cui non interessa conformarsi, quale che sia il costo. Bill Plympton sperimenta meno a livello di gag, lanciandosi in quarta con una narrazione fuori di testa: un naso gigante assalta il presidente statunitense; una dolce bambina divora il dito di un funzionario governativo; un astronauta si intrattiene in orge spaziali con animali da laboratorio… Elencare tutte le astrusità sarebbe impossibile, ed è evidente che non manchino momenti fini a se stessi (che sono anzi la maggior parte). Eppure la divertita follia del regista riesce a essere contagiosa se presa per il verso giusto. Le sue pellicole più solide sono altre, ma complici anche la durata piuttosto contenuta e la curiosità che spinge a scoprire cos’altro Plympton si riuscirà a inventare, si arriva senza troppo sforzo a fine visione. Le scene durante i titoli di coda mostrano il regista e il suo team al lavoro, mostrando un rapido ma curioso backstage.
Comicità visiva, spezzoni cantati che scimmiottano i musical Disney e semplice ma pungente critica al potere e all’intrattenimento di massa (questa volta è la pubblicità a essere nel mirino) sono gli ingredienti che riconfermano tutti gli interessi e le idiosincrasie del primo Plympton. Al netto di una estetica splatter leggermente diminuita, lo stile ricalca quello del suo film precedente, I married a strange person!, con però una trama più coesa, per quanto assurda e superando il limite del cattivo gusto. Difetti, questi? Sicuramente non per il regista, ma lo spettatore rischia di scontrarsi con questo stile narrativo singolare e straniante a cui non interessa conformarsi, quale che sia il costo. Bill Plympton sperimenta meno a livello di gag, lanciandosi in quarta con una narrazione fuori di testa: un naso gigante assalta il presidente statunitense; una dolce bambina divora il dito di un funzionario governativo; un astronauta si intrattiene in orge spaziali con animali da laboratorio… Elencare tutte le astrusità sarebbe impossibile, ed è evidente che non manchino momenti fini a se stessi (che sono anzi la maggior parte). Eppure la divertita follia del regista riesce a essere contagiosa se presa per il verso giusto. Le sue pellicole più solide sono altre, ma complici anche la durata piuttosto contenuta e la curiosità che spinge a scoprire cos’altro Plympton si riuscirà a inventare, si arriva senza troppo sforzo a fine visione. Le scene durante i titoli di coda mostrano il regista e il suo team al lavoro, mostrando un rapido ma curioso backstage.