Il mio giardino persiano
Keyke mahboobe man
Durata
97
Formato
Regista
Ormai settantenne, Mahin (Lily Farhadpour) sembra dover rinunciare alle gioie della vita: vedova da trent'anni, con il corpo appesantito e stanco, i figli all'estero che le concedono solo frettolose telefonate, gli incontri sempre più rarefatti e difficoltosi con le amiche ormai anziane. La donna però non è fatta per rassegnarsi, come mostra la sua reazione ai militari intenzionati ad arrestare una ragazza per aver mostrato i capelli sotto il velo islamico. Lo stesso coraggio e spirito d’iniziativa la induce a voler ancora donare gioia ad un uomo e a farle decidere di invitare a casa sua un vecchio tassista, altrettanto solo.
Vecchiaia, oppressione del regime, solitudine sembrano cancellati in una magica serata in cui la donna fa assaporare all’improvvisato compagno, sempre più estasiato, i frutti e il cibo cucinato con gli aromi del giardino, i suoi dolci e il vino proibito dal regime. Riprese lunghe valorizzano la recitazione degli ottimi interpreti di una ben calibrata sceneggiatura e indugiano sugli ambienti chiusi della casa, d’improvviso dilatati quando il tassista ripara l’illuminazione del giardino inattiva da anni. Il giardino persiano si rivela così il cuore segreto della casa e l’immagine del desiderio che gli anni non possono spegnere. In un film solo apparentemente non politico, dietro alle mura della casa e del giardino il regime è onnipresente, come la vicina che accorre sospettosa all’inatteso risuonare di una voce maschile nella casa dell’anziana vedova. Niente di memorabile, anche a causa di una messinscena un po' sempliciotta, ma è un film che funziona, con una bella sequenza di danza da mandare a memoria al termine della visione. Presentato al festival di Berlino.
Vecchiaia, oppressione del regime, solitudine sembrano cancellati in una magica serata in cui la donna fa assaporare all’improvvisato compagno, sempre più estasiato, i frutti e il cibo cucinato con gli aromi del giardino, i suoi dolci e il vino proibito dal regime. Riprese lunghe valorizzano la recitazione degli ottimi interpreti di una ben calibrata sceneggiatura e indugiano sugli ambienti chiusi della casa, d’improvviso dilatati quando il tassista ripara l’illuminazione del giardino inattiva da anni. Il giardino persiano si rivela così il cuore segreto della casa e l’immagine del desiderio che gli anni non possono spegnere. In un film solo apparentemente non politico, dietro alle mura della casa e del giardino il regime è onnipresente, come la vicina che accorre sospettosa all’inatteso risuonare di una voce maschile nella casa dell’anziana vedova. Niente di memorabile, anche a causa di una messinscena un po' sempliciotta, ma è un film che funziona, con una bella sequenza di danza da mandare a memoria al termine della visione. Presentato al festival di Berlino.