Uno scrittore (Carmelo Bene) introduce e commenta le sue stesse vicende, che in gran parte si svolgono in un palazzo moresco a Otranto, un tempo occupato dai Turchi e forse oggi minacciato dai turisti. Alla relazione con Santa Margherita (Lydia Mancinelli), scesa per lui dal paradiso, si alternano quelle con la Madonna (Anita Masini), con un editore (Salvatore Siniscalchi), con una serva (Ornella Ferrari) e con il proprio orgoglio, impersonificato da un improbabile frate (Carmelo Bene).

Il primo lungometraggio di Bene è tratto dal suo romanzo omonimo e, alla prova degli anni, pur restando difficilmente accessibile, si conferma come la sua opera migliore. In un susseguirsi di sequenze che rischiano in continuazione di soffocare sotto un accumulo di simboli, emerge nondimeno il ritratto di uno dei massimi esponenti della cultura italiana dell'epoca. Folgorante nelle trovate registiche e animato dalla sulfurea presenza del regista-attore, Nostra Signora dei Turchi resta nella memoria anche per l'equilibrio tra parentesi surreali, una instancabile vena dissacratoria (con la celebre distinzione tra «i cretini che hanno visto la Madonna e i cretini che non hanno visto la Madonna») e la trasposizione di (buona) letteratura al cinema. Anche stancante nella sua discontinuità di narrazione, riprese e sonoro, resta un oggetto unico e affascinante. Inizialmente della durata di 160 minuti, fu ridotto a 124 in occasione della partecipazione alla Mostra di Venezia, dove si aggiudicò il Premio speciale della giuria.
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