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35

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Giunto in una suite dell'hotel Hermitage, un uomo (Carmelo Bene) vaga tra la camera e il bagno. Si rivolge a se stesso, alla madre assente e alle visioni fugaci di una donna (Lydia Mancinelli). Alla fine, forse, si avvelena.

L'esordio vero e proprio di Carmelo Bene nel cinema, dopo la dubbia collaborazione al documentario Il barocco leccese (1968), è un mediometraggio che, sebbene a più riprese definito dall'autore e dai critici una prova per il successivo Nostra Signora dei Turchi (1968), non difetta di una propria identità. Parzialmente ispirato, come altre opere successive, al romanzo Credito Italiano V.E.R.D.I. dello stesso Bene , Hermitage si presenta come un flusso di coscienza non distante da Joyce (autore molto stimato dal regista), dove però appare già definita non solo una idea (in)coerente di cinema, ma soprattutto la vena dissacratoria dell'autore. Quando le voci degli altri ospiti si lamentano dei rumori provenienti dalla sua stanza, è lecito pensare che protestino per la colonna sonora lirica, continuamente spezzata e ripresa con una riflessione sul sonoro all'altezza delle successive opere. Un po' acerbo ma la classe non manca.
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