Oh i giorni!

Alla morte del padre, il giovane Abdelwahad (Ben Brahim) dovrebbe prendere le redini della famiglia. Lui però vorrebbe emigrare in Europa per migliorare il proprio stile di vita. Cercando di convincere i parenti, continua a lavorare la terra.

Primo film marocchino a ricevere un’ampia considerazione internazionale, venendo presentato in vari festival tra cui quelli di Cannes e Chicago. Racconto realista interpretato dai veri contadini del villaggio in cui è ambientato, è un’opera che trova la sua forza proprio nella rappresentazione del lavoro della terra: la regia riesce a farsi materica, facendo percepire il sudore, la polvere e la fatica, ed è affiancata da una superba fotografia che accentua le tonalità del giallo e del marrone che sono le protagoniste della maggior parte delle scene. Ahmed El Maanouni, al suo esordio, descrive una società rurale cui senso di sacrificio non è più considerato come un valore incrollabile dai giovani, che vedono invece nell’Europa una possibilità di guadagno migliore e che renda la vita più semplice a loro stessi e alle loro famiglie. Il regista fa un interessante uso di fotogrammi fissi, così da cristallizzare letteralmente un tempo e uno spazio che lascia poco spazio all’iniziativa personale. Il lavoro nei campi e i dialoghi su conoscenti lontani sono le uniche vere occupazioni della comunità e il giovane protagonista, in cerca di riscatto altrove, ne rimane inesorabilmente invischiato. Niente di nuovo dal punto di vista della forma e dei contenuti a livello globale, ma un passo importante per il cinema marocchino. Prezioso restauro da parte del World Cinema Project di Scorsese e della Cineteca di Bologna.