Partir un Jour
Partir un Jour
Durata
98
Formato
Regista
Cécile Béguin (Juliette Armanet) è una brillante chef quarantenne che dopo il terzo infarto del padre Gérard (François Rollin) raggiunge i suoi genitori nel ristorante della sua infanzia, una locanda della Francia orientale del Grand East, Cormolain, dalle parti di Strasburgo. Lì, nel suo paese natale, incontra nuovamente Raphaël (Bastien Bouillon), suo amore di gioventù rimasto confinato a una sfera platonica.
A partire da un suo stesso cortometraggio premiato col César nel 2023, la regista e documentarista Amélie Bonnin sposta il focus dal maschile al femminile e realizza il suo primo lungometraggio di fiction firmando una commedia a ritmo di musical, incentrata sul tema della nostalgia e della risoluzione dei traumi del passato, rimasti irrisolti anche una sopraggiunti gli “anta”. Con piglio scombiccherato e una marcata tendenza alla vitalità e al mescolamento dei canoni cinematografici in chiave di tragicommedia esistenziale, Partir un jour prende le mossa in primo luogo dal rapporto padre/figlia, tentando di raccontare, come dichiarato dalla stessa regista, “una generazione di uomini a cui non è stato insegnato a comunicare”. La colonna sonora, in cui abbondano i momenti canori messi lì a contrappuntare un racconto energico ma decisamente incerto e malfermo, è senz’altro il cuore pulsante e l’aspetto più interessante di un’operazione che coniuga, nella sua soundtrack, gli artisti più disperati, da Dalida a Claude Nougaro (Cécile, ma fille), passando per 2Be3, il cui successo Partir un jour dà anche il titolo al film, per il belga Stromae della hit planetaria Alors on dance. Se il focus è tutto sui legami recisi con il proprio passato, da riconsiderare ma soprattutto da ricostruire e riallacciare (per ritrovare se stessi al culmine di una sorta di seduta spiritica con i fantasmi di un tempo ormai lontano e dimenticato), a convincere solo in parte è l’alternanza pressoché continua dei registi e il largo ricorso al cantato come strumento eversivo rispetto alle maglie classiche della narrazione cinematografica, nella quale partire è sicuramente un po’ morire ma anche, inevitabilmente, anche un po’ rinascere. Ottima performance della protagonista Juliette Armamet, nei panni di una cuoca vincitrice di un reality show di nome Top Chef!, ma tutto il cast è decisamente all’altezza per garbo e brio (compreso il padre, che canta sbucciando patate e affrontando di petto il ridicolo), anche se non sempre ben diretto, oltre che al servizio di una dicotomia fin troppo didascalica tra passato e presente, integrità di certi valori “di una volta” - esemplificati da certa cucina tradizionale francese - e spinte fatali verso il disordine emotivo e relazionale della contemporaneità delle sue abbuffate (troppo frettolosi sono anche i passaggi che riguardano il tema d’approdo del film, quello della maternità, mente è rilevante e poetico il bel finale in treno). Coraggiosamente scelto come film d’apertura del 78esimo Festival di Cannes, con l’ormai tradizionale uscita in contemporanea nelle sale francesi, è diventato il primo lungometraggio in assoluto diretto da una donna a dare il calcio d’inizio alla prestigiosa kermesse cinematografica della Croisette.