Diane Kramer (Emmanuelle Devos) vive a Losanna e ha un’ossessione: trovare il conducente dell’automobile che ha investito suo figlio. Dopo alcune ricerche parte per Évian, la città dove crede che abiti il colpevole. Diane è disposta a tutto pur di vendicarsi, ma arrivata a destinazione si troverà di fronte un’altra donna, cordiale e misteriosa, con cui non sarà semplice rapportarsi.



Tratto dal romanzo Moka di Tatiana de Rosnay (2009), Per mio figlio è un revenge-movie decisamente diverso dai canoni tradizionali. A inseguimenti e sparatorie, il regista svizzero Frédéric Mermoud sostituisce un impianto più meditativo che incornicia una pellicola incentrata su un forte dilemma morale: lo spettatore è invitato a partecipare delle (difficili) scelte della protagonista e a provare a chiedersi come si comporterebbe in quella situazione. Se il soggetto è efficace e la prima parte coinvolgente al punto giusto, a lungo termine però il film si adagia su un livello piuttosto mediocre, vittima di diversi cali di ritmo e di una messinscena che procede un po’ col pilota automatico. Può venire in mente, per la base narrativa, il cinema dei fratelli Dardenne (Il figlio in particolare) o quello di Claude Chabrol, ma la regia di Mermoud non ha quel respiro e finisce per rimanere fin troppo cauta nelle scelte linguistiche adottate. Buona, ad ogni modo, la prova delle due attrici: tanto Nathalie Baye quanto Emmanuelle Devos risultano intense e pienamente in parte.
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