La persona peggiore del mondo
Verdens verste menneske
Premi Principali
Premio per la miglior attrice al Festival di Cannes 2021
Durata
121
Formato
Regista
Julie (Renate Reinsve) è ormai prossima al compimento dei trent’anni e la sua vita è giunta a un bivio, anche e soprattutto dal punto di vista professionale. Si fidanza con Aksel (Anders Danielsen Lie), graphic novelist apprezzato e di successo, che però, a differenza sua, vorrebbe avere dei figli e creare con lei una famiglia. Da lì a poco Julie incontra però Eivind (Herbert Nordrum), conosciuto a una festa in cui s’imbuca e col quale stabilisce immediatamente un’intimità irripetibile costellata di segreti erotici inconfessabili, tenere occhiate e complicità destinate a far saltare il banco.
Dopo i non certo esaltanti Segreti di famiglia (2015) e Thelma (2017), il cineasta norvegese Joachim Trier dà prova del suo talento dietro la macchina da presa dirigendo e co-sceneggiando, insieme a Eskil Vogt, questo moderno dramma sulla ricerca dell’amore e sull’autenticità del sentimento, graziato da una cospicua quantità di frizzante e inquieta originalità. Costruito intorno a un’attrice protagonista abilissima nel dosare con talento a tratti perfino sensazionale i diversi registri, La persona peggiore del mondo, il cui titolo francofono è Julie (en 12 chapitres), ne segue le vicende e le alterne fortune attraverso una narrazione per blocchi, che a ogni segmento rinnova la propria posta in palio e getta davanti a sé nuovi guanti di sfida. Ambientato in una Oslo malinconica e vivida, raramente portata al cinema con questa magica e autunnale tattilità e nella quale il regista chiude la propria personale trilogia sulla città, il film si configura fin dalle prime battute come una sorprendente e pirotecnica “educazione sentimentale” su misura per i millennial ormai prossimi a diventare trentenni, ma ancora incastrati in una sorta di perenne adolescenza eternamente “postuma”, tra contraccolpi, insicurezze generazionali, risorse inattese, piccolezze castranti e difetti assortiti ma sempre umanissimi. Descritto come “un dramma comico sull’amore nel nostro tempo e sull’avere tutte le opportunità della vita, ma sentirsi ancora la persona peggiore del mondo”, La persona peggiore del mondo è un ottovolante di registri che passa in scioltezza dal comico al drammatico: temi come la maternità, la sessualità, la fellatio al tempo del Me Too, il privilegio maschile, la correttezza politica a tutti i costi e la ricerca di un compagno di vita accanto a quella, meno romantica, di realizzazione professionale, sono trattati con un’acutezza che solo di rado esagera mettendo troppa carne al fuoco e mancando i giri giusti. La commedia umana, che mostra qualche tratto in comune col di poco precedente Vi presento Toni Erdmann (2016), anche nei cedimenti strutturali e in alcune volute voragini narrative che fanno capolino senza inficiare la forza del disegno d’insieme, bada soprattutto a mettere lo spettatore in uno stato di imprevedibilissimo ma accogliente disagio, ricorrendo spessissimo a sequenze assolutamente folli, per timbriche e talvolta anche per tratti grafici, ma non per questo gratuite. Oltre all’eccellente protagonista (premiata con la Palma d'oro alla miglior attrice), anche i due co-partner maschili sono impegnati in una gara di bravura e a portare in scena dialoghi ironici e raffinatissimi, tanto nelle punch-line quanto nei frangenti all’insegna di una più aperta e sfacciata commozione. Particolarmente rivelatorio, sul fronte filosofico dell’osservazione delle “vite degli altri”, il lavoro cui approda Julie dopo essersi cimentata con la chirurgia: la fotografia di scena. Presentato in Concorso al Festival di Cannes 2021.
Dopo i non certo esaltanti Segreti di famiglia (2015) e Thelma (2017), il cineasta norvegese Joachim Trier dà prova del suo talento dietro la macchina da presa dirigendo e co-sceneggiando, insieme a Eskil Vogt, questo moderno dramma sulla ricerca dell’amore e sull’autenticità del sentimento, graziato da una cospicua quantità di frizzante e inquieta originalità. Costruito intorno a un’attrice protagonista abilissima nel dosare con talento a tratti perfino sensazionale i diversi registri, La persona peggiore del mondo, il cui titolo francofono è Julie (en 12 chapitres), ne segue le vicende e le alterne fortune attraverso una narrazione per blocchi, che a ogni segmento rinnova la propria posta in palio e getta davanti a sé nuovi guanti di sfida. Ambientato in una Oslo malinconica e vivida, raramente portata al cinema con questa magica e autunnale tattilità e nella quale il regista chiude la propria personale trilogia sulla città, il film si configura fin dalle prime battute come una sorprendente e pirotecnica “educazione sentimentale” su misura per i millennial ormai prossimi a diventare trentenni, ma ancora incastrati in una sorta di perenne adolescenza eternamente “postuma”, tra contraccolpi, insicurezze generazionali, risorse inattese, piccolezze castranti e difetti assortiti ma sempre umanissimi. Descritto come “un dramma comico sull’amore nel nostro tempo e sull’avere tutte le opportunità della vita, ma sentirsi ancora la persona peggiore del mondo”, La persona peggiore del mondo è un ottovolante di registri che passa in scioltezza dal comico al drammatico: temi come la maternità, la sessualità, la fellatio al tempo del Me Too, il privilegio maschile, la correttezza politica a tutti i costi e la ricerca di un compagno di vita accanto a quella, meno romantica, di realizzazione professionale, sono trattati con un’acutezza che solo di rado esagera mettendo troppa carne al fuoco e mancando i giri giusti. La commedia umana, che mostra qualche tratto in comune col di poco precedente Vi presento Toni Erdmann (2016), anche nei cedimenti strutturali e in alcune volute voragini narrative che fanno capolino senza inficiare la forza del disegno d’insieme, bada soprattutto a mettere lo spettatore in uno stato di imprevedibilissimo ma accogliente disagio, ricorrendo spessissimo a sequenze assolutamente folli, per timbriche e talvolta anche per tratti grafici, ma non per questo gratuite. Oltre all’eccellente protagonista (premiata con la Palma d'oro alla miglior attrice), anche i due co-partner maschili sono impegnati in una gara di bravura e a portare in scena dialoghi ironici e raffinatissimi, tanto nelle punch-line quanto nei frangenti all’insegna di una più aperta e sfacciata commozione. Particolarmente rivelatorio, sul fronte filosofico dell’osservazione delle “vite degli altri”, il lavoro cui approda Julie dopo essersi cimentata con la chirurgia: la fotografia di scena. Presentato in Concorso al Festival di Cannes 2021.