Rob (Nicolas Cage) possiede un maiale da tartufo e vive ritirato nei boschi dell’Oregon. Solitario, scontroso e innamorato del suo animale domestico, quando alcune persone lo rapiscono è obbligato a tornare sui suoi passi e affrontare il suo passato chiudendo i conti con quello che aveva lasciato in sospeso.

Michael Sarnoski, al suo esordio dietro la cinepresa, sfrutta Nicolas Cage, e soprattutto il paratesto mediatico che si porta dietro, per costruire un raffinato e anticlimatico thriller, sorprendente nel disinnescare la tensione intrinsecamente presente in un film che, sin dall’incipit, finge di essere l’ennesimo revenge movie con il noto attore. In maniera opposta a quanto fatto da Panos Cosmatos in Mandy (2018), il regista americano decide di minare le convinzioni precostituite dal pubblico: il personaggio di Cage non abbandona il luogo in cui si era isolato per intraprendere una missione vendicativa e distruttiva, bensì utilizza le sue incredibili capacità culinarie, la sua memoria fotografica e la sua spietata, ma sincera, onestà per trovare il maiale da tartufo che tanto ama. Contemporaneamente amico, psicologo e santone, egli non affronta le persone malvagie che gli si oppongono ma le mette di fronte alla verità, alla fonte interiore del loro stesso male. Volente o nolente lo spettatore, costantemente stupito dal suo comportamento, si ritrova immerso, insieme ai personaggi, in questa grande terapia di gruppo che il film, come il cinema e come la vita, è.
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