John Rambo (Sylvester Stallone) deve affrontare il suo passato e riportare alla luce le sue spietate abilità di combattimento per affrontare un cartello messicano invischiato nel commercio sessuale di ragazze nelle zone dell'Est.


Imbarazzante riproposizione dello storico personaggio di Sylvester Stallone, al cinema per la quinta volta, Rambo: Last Blood parte da premesse interessanti solo in partenza, trasformando nelle prime battute il reduce del Vietnam in una figura indubbiamente crepuscolare, una sorta di Prometeo rinnegato dagli dei e condannato a forgiare in totale isolamento la propria solitudine (la guerra nel Sud-est asiatico è ridotta a un tunnel degli orrori, tutto mentale). L’incipit, non a caso, insiste sulla necessità di tornare ad accendere la luce in un mondo contemporaneo schiacciato dalla tenebre e dall’oscurità, ma dopo pochissimi minuti la dozzinale sceneggiatura firmata da Matthew Cirulnick e dallo stesso Stallone, di solito autore di copioni con un margine decisamente più ampio di spunti, naufraga malamente squadernando una trama che definire tagliata con l’accetta è perfino generoso e di manica larga. Ritroviamo John Rambo in un ranch isolato da tutto e tutti (a Bowie, in Arizona), insieme a un’anziana domestica e alla nipote di costei, ma questi nuovi innesti sono immediatamente vanificati da una malandata e abbrutita successione di eventi che trasforma anche Stallone in una maschera tanto iperrealista quanto involontariamente ridicola, costellata di amarezza incartapecorita, smorfie di dolore cartoonesche, efferatezza pornografica e momenti trash. Il prodotto finito, soprattutto in virtù di una violenza fuori da ogni ordine e logica e da un’irruenza che non smussa davvero nessuno dei propri angoli, dividendosi tra ottusità reazionarie assortite e pessime sortite nel western, appare molto distante anche dai precedenti film di Rambo: una sorta di ibrido a tratti  sconcertante tra la saga de I mercenari e un film di serie Z e non certo “di cartello” sulla malavita messicana (il Messico è naturalmente bersaglio privilegiato e luogo d’elezione inevitabile, in epoca trumpiana). Tassativamente da evitare, titoli di coda nostalgici a parte. David Morell, autore del romanzo del 1972 da cui la saga prese il via, ha attaccato il film su twitter definendolo un pasticcio per il quale prova imbarazzo, mentre alla regia c’è il malcapitato Adrian Grunberg, regista di seconda unità di Narcos. Nel cast anche Paz Vega. 

Il film è disponibile in home-video: leggi la scheda tecnica su Villaggio Tecnologico

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