Hahaha
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Durata
115
Formato
Regista
Due amici (Kim Sang-kyung e Yoo Joon-sang) si incontrano poco prima di partire per il Canada, e, tra un bicchiere e l'altro, si raccontano delle proprie vite, non rendendosi conto di avere incontrato le stesse persone, negli stessi luoghi e negli stessi periodi.
Hong Sang-soo si conferma un autore estremamente coerente con questa sommessa commedia amara, attraversata da un umorismo lieve e dall'apparente semplicità stilistica, che ha come riferimento più immediato una certa idea di cinema francese (Érich Rohmer come modello alto, il più anonimo film intimista medio come modello più basso). Al centro, solitudini e disadattamenti, che trovano un interessante simbolo nella ricorrenza dell'alcool, consumato per lo più nel fuori campo o ricordato nei racconti dei protagonisti. La quasi totale immobilità della macchina da presa e la fotografia volutamente anonima incorniciano i personaggi nei loro problemi, e i lunghi dialoghi esprimono la vana ricerca di una via d'uscita. Rimane il dubbio sull'urgenza e sulla reale incisività del film, che appare più come un esercizio di stile e una ripetizione di modelli altrui che un'efficace rappresentazione del disagio. Questo anche a causa di una lunghezza eccessiva, che rende l'opera un po' prolissa. La parte finale, quando alcuni nodi narrativi vengono al pettine, è la più riuscita. Miglior film della sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes.
Hong Sang-soo si conferma un autore estremamente coerente con questa sommessa commedia amara, attraversata da un umorismo lieve e dall'apparente semplicità stilistica, che ha come riferimento più immediato una certa idea di cinema francese (Érich Rohmer come modello alto, il più anonimo film intimista medio come modello più basso). Al centro, solitudini e disadattamenti, che trovano un interessante simbolo nella ricorrenza dell'alcool, consumato per lo più nel fuori campo o ricordato nei racconti dei protagonisti. La quasi totale immobilità della macchina da presa e la fotografia volutamente anonima incorniciano i personaggi nei loro problemi, e i lunghi dialoghi esprimono la vana ricerca di una via d'uscita. Rimane il dubbio sull'urgenza e sulla reale incisività del film, che appare più come un esercizio di stile e una ripetizione di modelli altrui che un'efficace rappresentazione del disagio. Questo anche a causa di una lunghezza eccessiva, che rende l'opera un po' prolissa. La parte finale, quando alcuni nodi narrativi vengono al pettine, è la più riuscita. Miglior film della sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes.