Kay (Emily Mortimer) riceve la notizia della sparizione della madre Edna (Robyn Nevin). Da tempo l’anziana, affetta da Alzheimer, abitava sola nella grande casa di famiglia alla quale era però indissolubilmente legata. Key e la figlia Sam (Bella Heathcote) passano diversi giorni a cercarla quando, all’improvviso, Edna riappare scalza, coperta di sangue ma incredibilmente incolume.

Relic è un horror che, sulla scia di noti predecessori contemporanei, riesce a raccontare temi estremamente delicati entro la cornice del cinema di genere. Solitudine, abbandono e malattia diventano il terreno franante su cui il personaggio di Emily Mortimer deve affrontare il ruolo di madre e figlia. L’intreccio generazionale riassume le tre età dell’uomo, punti di vista diversi dove il collante sono i ricordi, istantanee da dover digerire per poter essere assimilate. Natalie Erika James gioca con la lunga attesa inziale facendoci presagire un esito già scritto, ma è proprio la scelta di disattendere quanto costruito che le consente di lavorare su binari diversi, meno espliciti. Le idee più convincenti arrivano infatti dall’equilibratissima resa formale e, se il nero è il (non) colore su cui viene costruito il film, sono le scelte d’illuminazione a trasmetterci visivamente il senso dell’operazione. Finiamo così per osservare la realtà da un punto di vista parziale, incompleto che finisce per coincidere a più riprese con lo sguardo di Edna. Ma, nonostante la terrificante (e quindi perfetta) interpretazione di Robyn Nevin, la vera protagonista resta la casa che riconduce il discorso entro la mitologia del genere: i vetri infestati come "reliquia", possibile resa del titolo anglofono. Nonostante le intuizioni siano molte e il film sorprenda, in quanto esordio, soprattutto sul piano metaforico, Relic non riesce a trasmettere quanto potenzialmente ideato. L’attesa del primo atto non si trasforma mai in suspence, negando il piacere del brivido, e la ricostruzione del quadro simbolico viene completamente lasciata allo spettatore che, in balia dei non detti, finisce per dover intessere trame di una tela in verità sin troppo semplice.
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