La renna bianca
Valkoinen peura
Durata
74
Formato
Regista
Pirita (Mirjami Kuosmanen) è da poco sposata con un pastore di renne. Il lavoro obbliga spesso il marito a passare lungo tempo lontano dalla moglie e lei, per alleviare il suo senso di solitudine, va da uno sciamano. Il rito magico la aiuta a migliorare la sua vita amorosa, ma porta con sé anche una maledizione.
Una donna che si sente sola, per via di un incantesimo, inizia ad attrarre gli uomini, per poi vampirizzarli e ucciderli sotto forma di renna. Quello che potrebbe sembrare un soggetto da horror di serie b, come tanti se ne iniziavano a vedere negli anni ‘50, risulta invece un progetto ben più affascinante. Innanzitutto, la precisa regia di Blomberg regala inquadrature di grande bellezza, ancora più valorizzate dall’accecante biancore della neve, onnipresente per tutta la durata del film. In particolare, sono indimenticabili le scene ambientate nel cimitero delle renne, con i palchi che si stagliano fantasmagorici verso il cielo. È poi gestita in maniera efficacissima l’unione di elementi etnografici (basati sulla cultura Sami della Lapponia) con le soluzioni da realismo magico, che passano con destrezza dal fantasy all’horror. Il folklore del nord più remoto si fa protagonista di questa fiaba pagana che presenta, in un contesto dal sapore atavico, preoccupazioni del tutto moderne (su tutte, il desiderio femminile che tenta di liberarsi dalle convenzioni sociali). Firmano la sceneggiatura l’attrice protagonista e il regista, coppia anche nella vita. Il successo e la distribuzione internazionali non furono immediati, ma nel 1957 vinse il Golden Globe al miglior film straniero.
Una donna che si sente sola, per via di un incantesimo, inizia ad attrarre gli uomini, per poi vampirizzarli e ucciderli sotto forma di renna. Quello che potrebbe sembrare un soggetto da horror di serie b, come tanti se ne iniziavano a vedere negli anni ‘50, risulta invece un progetto ben più affascinante. Innanzitutto, la precisa regia di Blomberg regala inquadrature di grande bellezza, ancora più valorizzate dall’accecante biancore della neve, onnipresente per tutta la durata del film. In particolare, sono indimenticabili le scene ambientate nel cimitero delle renne, con i palchi che si stagliano fantasmagorici verso il cielo. È poi gestita in maniera efficacissima l’unione di elementi etnografici (basati sulla cultura Sami della Lapponia) con le soluzioni da realismo magico, che passano con destrezza dal fantasy all’horror. Il folklore del nord più remoto si fa protagonista di questa fiaba pagana che presenta, in un contesto dal sapore atavico, preoccupazioni del tutto moderne (su tutte, il desiderio femminile che tenta di liberarsi dalle convenzioni sociali). Firmano la sceneggiatura l’attrice protagonista e il regista, coppia anche nella vita. Il successo e la distribuzione internazionali non furono immediati, ma nel 1957 vinse il Golden Globe al miglior film straniero.