Una domenica di maggio, a casa di Carolina (Chiara Martegiani) si contano le ore. Il giorno dopo bisognerà partecipare pubblicamente alla commozione collettiva che ha travolto una piccola comunità sul mare, a pochi chilometri dalla capitale. Se n'è andato Mauro Secondari, un giovane operaio caduto nella fabbrica dove, da quelle parti, hanno transitato almeno tre generazioni. E da quando è successo, Carolina, la sua compagna, è rimasta sola, con un figlio di dieci anni e una fatica immensa, a sprofondare nella disperazione per la perdita dell'amore della sua vita.

Non poteva certo essere banale l’esordio dietro la macchina da presa di Valerio Mastandrea, attore italiano tra i più apprezzati della sua generazione, che ha scelto di passare alla regia con un film profondamente drammatico, sull’elaborazione del lutto e i conflitti famigliari. L’intera storia si svolge in una sola giornata, quella che anticipa il momento del funerale: la cerimonia però non sarà soltanto un momento di saluto a un defunto da parte dei suoi cari, ma un piccolo evento politico e sociale, a cui parteciperanno colleghi, rappresentanti dei lavoratori e mass media. Se questi elementi sono presenti ma solo accennati nella narrazione, ciò che interessa davvero a Mastandrea è indagare i vari volti del lutto, a partire da una donna che non riesce a piangere per la morte del compagno. I vari personaggi di una famiglia i cui legami si scoprono poco a poco, sono interessanti e scritti con cura, mentre sono le figure di contorno (una ex fidanzata del defunto, in primis) a risultare spesso forzate e poco credibili. C’è così in questa pellicola un’alternanza di momenti e situazioni riflessa in un andamento narrativo altalenante, diviso tra passaggi intensi e toccanti e altri più superficiali e debolucci. Il neoregista, seppur con qualche passaggio acerbo, stilisticamente parlando, dimostra coraggio e non ha paura di puntare su simboli e metafore anche particolarmente ambiziosi. Anche su questo a volte il gioco vale la candela (il doppio pranzo, invisibile e non), altre volte meno (gli sguardi rivolti allo spettatore), ma resta più di uno spunto su cui riflettere al termine della visione. E per un’opera prima può sicuramente bastare. Presentato in concorso al Torino Film Festival.
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