Il castello di Vogelod
Schloß Vogeloed
Durata
75
Formato
Regista
A causa di un violento temporale, alcuni uomini dell'alta società, si ritrovano ad alloggiare nel castello di Vogelod, dove il barone di Vogelschrey (Arnold Korff) è padrone di casa. Qui giungono il conte Johann Oetsch (Lothar Mehnert), accusato dell'omicidio del proprio fratello, la vedova di quest'ultimo (Olga Tschechowa) e il suo nuovo marito, il barone Safferstätt (Paul Bildt). L'arrivo di un misterioso prete porterà ulteriore scompiglio e una serie di rivelazioni scioccanti.
Uno dei pochi sopravvissuti tra i primi film di F.W. Murnau, Il castello di Vogelod è un kammerspiel (gli esterni sono limitati a establishing shot “metereologici”), venato di atmosfera poliziesca, in cui la tensione è sapientemente centellinata e non mancano i colpi di scena. Malgrado si muova tra le maglie di un'estetica cinematografica ancora piuttosto primitiva (macchina da presa statica, recitazione enfatica, uso assai parco del montaggio alternato, matrice teatrale pronunciata come mostra la divisione del racconto in cinque atti), Murnau dà prova di una personalità autoriale ben definita, capace di creare suggestioni grazie ai giochi di luci e ombre, alle scenografie dallo spiccato gusto espressionista e a inserti onirici affascinanti. Emergono, inoltre, alcuni dei temi ricorrenti della poetica del regista, seppure declinati in modo acerbo: la diffidenza per gli uomini e i loro pregiudizi, la finzione come strumento rivelatore di verità scomode, l'ambiguità e l'enigmaticità come tratti distintivi della natura umana. A lungo considerato perduto, il film è stato ritrovato e restaurato nel 2002 utilizzando un negativo di proprietà del Bundesarchiv-Filmarchiv di Berlino e una copia con i sottotitoli portoghesi ritrovata in Brasile.
Uno dei pochi sopravvissuti tra i primi film di F.W. Murnau, Il castello di Vogelod è un kammerspiel (gli esterni sono limitati a establishing shot “metereologici”), venato di atmosfera poliziesca, in cui la tensione è sapientemente centellinata e non mancano i colpi di scena. Malgrado si muova tra le maglie di un'estetica cinematografica ancora piuttosto primitiva (macchina da presa statica, recitazione enfatica, uso assai parco del montaggio alternato, matrice teatrale pronunciata come mostra la divisione del racconto in cinque atti), Murnau dà prova di una personalità autoriale ben definita, capace di creare suggestioni grazie ai giochi di luci e ombre, alle scenografie dallo spiccato gusto espressionista e a inserti onirici affascinanti. Emergono, inoltre, alcuni dei temi ricorrenti della poetica del regista, seppure declinati in modo acerbo: la diffidenza per gli uomini e i loro pregiudizi, la finzione come strumento rivelatore di verità scomode, l'ambiguità e l'enigmaticità come tratti distintivi della natura umana. A lungo considerato perduto, il film è stato ritrovato e restaurato nel 2002 utilizzando un negativo di proprietà del Bundesarchiv-Filmarchiv di Berlino e una copia con i sottotitoli portoghesi ritrovata in Brasile.