Saimir (Mishel Manoku), quindici anni, è un ragazzo albanese che vive in Italia. Suo padre Edmondo (Xhevdet Ferri) ha lasciato il paese d'origine per garantirgli un futuro migliore, ma sbarca il lunario attraverso il traffico di clandestini provenienti dall'Europa dell'Est. Quando il figlio scopre la verità, decide di ribellarsi e di provare a vivere una vita diversa, alla ricerca di una redenzione possibile.

Francesco Munzi aveva in mente un documentario quando ha iniziato le riprese con una famiglia rom: procedendo con le interviste, ha deciso di convertire il genere in fiction, pur scegliendo di lasciare un gran numero di dialoghi in lingua albanese, così da esaltare l'incomunicabilità di due mondi contrapposti e le loro regole del gioco. Al centro della narrazione, l'incomprensione tra un padre e un figlio, che hanno fatto scelte diverse: il livore del protagonista viene esaltato dalla fotografia spenta e dolorosa di Vladan Radovic, smorzata solo nella scene (rare) di sincera spensieratezza. Esordio interessante soprattutto dal punto di vista narrativo (Munzi dimostra una discreta padronanza nella costruzione dei personaggi e un punto di vista originale nel descrivere le nuove generazioni ai tempi dell'immigrazione), ma un'eccessiva dose di moralismo e alcuni schematismi di troppo indeboliscono l'operazione. Scritto dal regista con Serena Brugnolo e Dino Gentili; musiche di Giuliano Taviani. Menzione speciale (e premio Luigi De Laurentiis Opera Prima) alla Mostra di Venezia.
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