Mentre il mondo giunge al termine, Shah Ismail (Huseyn Nasirov) si mette alla ricerca dell’Acqua della Vita.

Ultimo di un trittico di “sermoni” con cui l’azero Baydarov dà voce alle sue inquietudini mistiche ed esistenziali. Questo terzo capitolo è il più sperimentale dei tre, non solo per la rarefazione dell’elemento narrativo, ma soprattutto per una scelta di ipersaturazione visiva che dà alle immagini un’identità onirica e ipnotica. Non si può negare che l’operazione abbia un certo fascino. Il progetto però rischia di mal prestarsi alla durata di un lungometraggio, entrando in un cortocircuito ridondante dal risultato più soporifero che esaltante. Come installazione artistica più contenuta nel minutaggio sarebbe stato probabilmente più efficace e memorabile. Così invece, restano impresse immagini singole indubbiamente affascinanti, ma non il film nella sua interezza, che anzi finisce per risultare in più punti pretenzioso e indigesto. Per lo meno, quello di Baydarov è un cinema che ha il merito di osare e sperimentare senza timore, nonostante le cadute lungo il percorso.

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