Styx
Styx
Durata
94
Formato
Regista
L’isola di Ascensione è la meta del viaggio solitario che Rike (Susanne Wolff) intraprende in barca a vela. L’incontro con un peschereccio arenato e carico di profughi trasformerà la rotta verso il paradiso terrestre in una vera e propria discesa negli inferi.
A nove anni dal debutto con la sua opera prima, Wolfgang Fischer torna dietro la cinepresa affrontando il delicato tema delle stragi dei migranti: lo fa con un film altalenante nel ritmo, ma dal discreto impatto visivo, giocando in sottrazione con ritmi lenti, assenza di musiche (solo suoni in presa diretta) e dialoghi misurati. Così prende vita un limbo sospeso sulle acque dell’oceano Atlantico in cui si riconoscono diversi riferimenti alla poetica dantesca e alla letteratura classica: la protagonista, una contemporanea Ulisse al femminile, affronta coraggiosamente il furore del mare che come Flegias, nocchiero dello Stige (fiume infernale che dà il titolo al film) e allegoria dell'ira, la traghetterà verso l'imbarcazione alla deriva e la porterà a vivere una tragica odissea interiore (e non solo). Si tratta di un'opera ben radicata nella contemporaneità, vittima però di qualche passaggio meno incisivo e di scarsa tensione drammatica, capace tuttavia di veicolare più di una riflessione sul senso di responsabilità individuale e collettivo. Il film, vincitore del Premio della giuria ecumenica nella sezione Panorama alla Berlinale 2018, fa da eco a Fuocoammare (2016) di Gianfranco Rosi, discostandosi tuttavia dal genere documentaristico, ponendo l'accento, con sottili provocazioni, sul tema della responsabilità e sul peso dell’indifferenza, come a ricordarci che “fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”.
A nove anni dal debutto con la sua opera prima, Wolfgang Fischer torna dietro la cinepresa affrontando il delicato tema delle stragi dei migranti: lo fa con un film altalenante nel ritmo, ma dal discreto impatto visivo, giocando in sottrazione con ritmi lenti, assenza di musiche (solo suoni in presa diretta) e dialoghi misurati. Così prende vita un limbo sospeso sulle acque dell’oceano Atlantico in cui si riconoscono diversi riferimenti alla poetica dantesca e alla letteratura classica: la protagonista, una contemporanea Ulisse al femminile, affronta coraggiosamente il furore del mare che come Flegias, nocchiero dello Stige (fiume infernale che dà il titolo al film) e allegoria dell'ira, la traghetterà verso l'imbarcazione alla deriva e la porterà a vivere una tragica odissea interiore (e non solo). Si tratta di un'opera ben radicata nella contemporaneità, vittima però di qualche passaggio meno incisivo e di scarsa tensione drammatica, capace tuttavia di veicolare più di una riflessione sul senso di responsabilità individuale e collettivo. Il film, vincitore del Premio della giuria ecumenica nella sezione Panorama alla Berlinale 2018, fa da eco a Fuocoammare (2016) di Gianfranco Rosi, discostandosi tuttavia dal genere documentaristico, ponendo l'accento, con sottili provocazioni, sul tema della responsabilità e sul peso dell’indifferenza, come a ricordarci che “fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza”.