Synonymes
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Durata
123
Formato
Regista
Yoav (Tom Mercier), giovane israeliano, arriva a Parigi per cambiare vita, deciso ad abbandonare completamente le sue radici. Fin dalle prime ore nella capitale francese, però, le cose non vanno come aveva preventivato e si ritrova vittima di diverse situazioni imprevedibili.
Cinque anni dopo The Kindergarten Teacher (2014), di cui è stato realizzato il remake americano Lontano da qui (2018), il regista israeliano Nadav Lapid torna dietro la macchina da presa per un film profondamente sentito e personale, che prende spunto dalle sue esperienze dirette. Quella di Yoav in Francia è una tragicomica esperienza per scappare da tutto ciò che il suo paese natale rappresenta per lui: i genitori, le tradizioni e soprattutto la lingua, dato che d’ora in avanti vuole parlare soltanto francese e per questo si esercita tanto con un dizionarietto che porta sempre con sé. Gli spunti sul tema dell’identità sono interessanti, ma il film si perde a causa di una sceneggiatura ridondante e prolissa, accompagnata da una messinscena profondamente incerta, in cui la cinepresa a mano si alterna con inquadrature più statiche. Non bastano le tante citazioni, che toccano anche Ultimo tango a Parigi (1972) come l’appartamento vuoto dell’inizio o il cappotto che indossa il protagonista, e qualche sorriso che il film può strappare di fronte a un disegno d’insieme piuttosto grossolano. Le sequenze scritte malamente infatti abbondano e i tanti spunti politici alla base della vicenda non vengono trattati con il giusto spessore. Presentato in concorso al Festival di Berlino, dove ha ottenuto un generoso e immeritato Orso d'oro.
Cinque anni dopo The Kindergarten Teacher (2014), di cui è stato realizzato il remake americano Lontano da qui (2018), il regista israeliano Nadav Lapid torna dietro la macchina da presa per un film profondamente sentito e personale, che prende spunto dalle sue esperienze dirette. Quella di Yoav in Francia è una tragicomica esperienza per scappare da tutto ciò che il suo paese natale rappresenta per lui: i genitori, le tradizioni e soprattutto la lingua, dato che d’ora in avanti vuole parlare soltanto francese e per questo si esercita tanto con un dizionarietto che porta sempre con sé. Gli spunti sul tema dell’identità sono interessanti, ma il film si perde a causa di una sceneggiatura ridondante e prolissa, accompagnata da una messinscena profondamente incerta, in cui la cinepresa a mano si alterna con inquadrature più statiche. Non bastano le tante citazioni, che toccano anche Ultimo tango a Parigi (1972) come l’appartamento vuoto dell’inizio o il cappotto che indossa il protagonista, e qualche sorriso che il film può strappare di fronte a un disegno d’insieme piuttosto grossolano. Le sequenze scritte malamente infatti abbondano e i tanti spunti politici alla base della vicenda non vengono trattati con il giusto spessore. Presentato in concorso al Festival di Berlino, dove ha ottenuto un generoso e immeritato Orso d'oro.