Tre generazioni ungheresi a confronto, mostrate nel pieno della loro giovinezza: il nonno (Csaba Czene), affetto da voyeurismo e masturbazione compulsiva, il padre (Gergely Trócsányi), campione di abbuffate trasformato in un mostro di obesità, e il nipote (Marc Bischoff), imbalsamatore asociale, schiavo del genitore e impaurito dalla vita.

Grottesco, eccessivo e scioccante, Taxidermia è una dissezione impietosa (letteralmente) delle brutture umane, condotta all'ennesima potenza, con una grossa vena di sarcasmo e una buona dose di disprezzo per i limiti. Sfidando le frontiere del body horror più estremo, György Pálfi utilizza il disfacimento fisico come metafora della putrefazione interiore della società odierna che porta gli individui a isolarsi nella persecuzione ossessiva dei propri obiettivi e all'incapacità totale di mantenere rapporti umani sereni. Ma c'è anche il tema delle colpe dei padri che ricadono sui figli, ognuno pronto a riproporre un modello disfunzionale con le varianti del caso: il tutto incorniciato da ambientazioni terrificanti e da una fotografia livida e claustrofobica, che evoca atmosfere di degrado e marcescenza. Mostruoso, sconvolgente e a tratti forse deliberatamente esagerato, offre un ritratto sarcastico, crudele e difficilmente dimenticabile della degenerazione umana ma non è adatto a stomaci meno che fortissimi. Presentato nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes.
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